Pubblichiamo la recensione di Stefano Sacchetti del film “Non è un paese per giovani” del regista Giovanni Veronesi
Un viaggio di formazione, di solito, è composto da due direzioni: una verso l’ignoto, un’altra dentro di sé. Il tutto è inframmezzato da prove da superare, come nei migliori racconti mitologici. Giovanni Veronesi ha mirato e colpito il bersaglio con la sorprendente e puntuale abilità con cui è solito ritrarre le molteplici facce delle vicende umane. Si è dato da fare, ha svolto un accurato lavoro di ricerca, intervistando decine di giovani che hanno scelto di lasciarsi alle spalle il proprio paese per dare forma ad una nuova esistenza all’estero. Germania, Francia, Inghilterra, Danimarca, Spagna.
Sono diversi i posti in cui un giovane, cresciuto negli anni zerozero e schiantatosi contro il muro grondante di false speranze neoliberiste, può mettere nuovamente radici. Sradicarsi per radicarsi una seconda volta, in un paesi all’apparenza agli antipodi, si parte in cerca di linfa nuova, di nuovi spunti, emozioni, energie. Non è un paese per giovani, film fresco, commedia/radiografia. Si intitola come la rubrica che il regista tiene ai microfoni di Radiodue. Troviamo un particolare che luccica in un soggetto che può sembrare già visto e già sentito, la speranza dopo la rassegnazione, la sensazione indicatrice del fatto che il viaggio di formazione ha avuto effetto, cioè ha alzato l’asticella, ha posto le basi per una crescita, per un’evoluzione. Il limite è stato superato.
Non è un paese per giovani: oltre che un titolo è anche un monito, un dato di fatto. Giovanni Veronesi costruisce una storia che parla di giovani degli anni duemiladieci, in cerca di un posto nel mondo, in cerca di se stessi, in cerca di un proprio mondo interiore da colmare di vita, di esplosioni energetiche di risate, progetti, lunghi respiri e slanci dentro di sé, con lo sguardo oltre l’orizzonte. Il tutto condito con una sana dose di ironia, la dose migliore che solo la commedia all’italiana è in grado di sfornare, un’ironia che è la base di un umorismo che si rivela una ricca chiave di lettura antropologica e sociologica. Gli eroi sono due, uno figlio di un edicolante, l’altro di un giornalista, che si spostano oltre oceano per dare una dimensione al loro avvenire e sfuggire alla morsa di un’inerzia velenosa incastrate in lamentele di corto respiro. Cuba li ricopre di vita e li inebria, ma si tratta di un tipo di Cuba diversa da quella delle cartoline. È una Cuba colorata, accarezzata da spiagge deserte abitate da pescatori, abbagliata dalle luci del mare, come nelle migliori cartoline turistiche. Che Guevara, i combattimenti di lotta libera clandestini, il mare che mozza il fiato, le spiagge, pescatori diventati eroi per aver sconfitto gli squali, i colori, le albe, i tramonti, la pioggia. Una Cuba si mostra anche carica di lati oscuri e interdetti come in una fotografia di Arien Chang Castán. Questa è la Cuba di Veronesi, il posto del Cuore e della mente, dell’inconscio, il luogo dei desideri, che sta dentro di noi.