“Un fantasma si aggira per l’Europa: le Fake News” … davanti allo spettro delle bufale in rete si è creata una santa alleanza che va dai democratici americani disperati per l’esito delle elezioni presidenziali a quei parlamentari italiani autori di una proposta di legge che addirittura evoca i rigori che in tempo di guerra puniscono i diffusori di notizie esagerate e tendenziose atte a produrre “disfattismo”. La situazione insomma è grave, ma non seria. Parliamo della questione con lo studioso di geopolitica Daniele Scalea che con il Centro Studi Machiavelli ha organizzato a Roma un convegno su “Post-verità o post-libertà. Tra fake news e censura”.
Gli ingenui pensano che i problemi maggiori dell’Italia siano rappresentati dalla disoccupazione a due cifre o da qualche malintenzionato che ti entra in casa di notte. Dobbiamo anche aggiungere la preoccupazione per le post-verità?
“Chi ha lanciato questo allarme evidentemente ritiene che oggi la diffusione di false notizie sta agevolando l’ascesa dei movimenti populisti e come antidoto propone misure di “fact-checking””.
Ovvero?
“Vale a dire misure aziendali, ma anche legislative volte a censurare e a punire i diffusori di false notizie”.
Una specie di “macchina della verità” insomma?
“Il punto è che non ci si limita ad accertare fatti conclamati e indisputabili ma ci si propone di applicare i medesimi metodi per vagliare le opinioni e giudicare se esse siano “vere” o “false””.
Ma allora forse più che macchina della verità è Santa Inquisizione.
“Dietro al presunto accertamento oggettivo dei fatti si nasconde spesso un tentativo di delimitare le opinioni che è legittimo esprimere, delegittimando le altre come “false””.
L’Oxford Dictionaries ha eletto vocabolo dell’anno “post-verità”. Chi sono i “villains”, gli eroi negativi, di questa fantastica stagione della post-verità e in quali prodezze si sarebbero esercitati?
“Secondo la narrativa dominante, tale inclinazione alla “post-verità” sarebbe sfruttata politicamente dai movimenti “populisti”, la quale, grazie alla diffusione di “fake news”, sarebbe riuscita a cogliere grandi successi elettorali come la vittoria referendaria della Brexit e l’elezione alla presidenza di Donald Trump”.
Però è anche vero che internet crea una bolla di idee immaginarie in cui ognuno alla fine trova conferma ai propri pregiudizi (“biases”) …
“Vi sono studi che sottolineano come la Rete tenda a produrre isolamento autoreferenziale e assenza di confronto con le opinioni differenti (tesi delle echo chambers e della filter bubble). Tuttavia andrebbe considerata anche la capacità della rete di garantire l’accesso a una pluralità di informazioni e opinioni, e verificare quanto si apprende. Lei conosce il caso di Stephen Glass?”.
Sinceramente lo ignoro.
“Glass era l’astro nascente del giornalismo Usa negli anni ’90 e fondò la sua fortuna su un sistematico ricorso a notizie inventate. La sua carriera terminò bruscamente nel 1998, quando un giornalista riuscì a scoprirlo proprio grazie… ai motori di ricerca in Internet”.
Cioè internet crea i miti e internet li disfa?
“Internet rende forse più veloce la diffusione di false notizie, ma le diluisce in mezzo a una gran messe di altre informazioni, e soprattutto permette di reperire velocemente i riferimenti che le sbugiardano”.
Poi diciamo la verità le fake news non sono nate mica con i blog. I vecchi giornali non erano vergini da menzogne e mezze-verità…
“Grandi casi di fake news nel giornalismo sono attestati nell’Ottocento e nel Novecento, ma quelle storie avrebbero oggi vita più breve. Difficilmente una falsa notizia come quella della scoperta di animali e uomini alati sulla Luna, propagata dal “New York Sun” nel 1835 e sostenuta per intere settimane, oggi riuscirebbe a sopravvivere tanto”.
Torniamo agli “inquisiti” di oggi. Su quale bersaglio puntano i promotori delle campagna contro le fake news?
“La biblioteca dell’Università di Harvard ha pubblicato una “lista informale” nella quale a fianco di siti realmente produttori di bufale, sono elencati anche “Wikileaks” e “Breitbart”. In particolare, quest’ultimo (il sito di riferimento della Destra trumpiana) è messo all’indice perché “political”, “unreliable” e con “bias””.
Vabbè, sono democratici che dopo aver perso le elezioni accusano i loro avversari di avere idee diverse dalle loro… Non è che siano giudici super partes.
“In effetti, Melissa Zimdars, la giovane ricercatrice artefice della sopra menzionata lista di siti da evitare, non ha mancato di fare esternazioni ostili al Presidente Trump. Consideriamo anche la rete di fact-checker patrocinata dal marchio Poynter, cui “Facebook” ad esempio si appoggia per decidere se una notizia sia falsa e limitandone automaticamente la diffusione. Poynter è un’entità autorevole nel mondo del giornalismo, ma non necessariamente super partes. Il 9 novembre scorso, ad esempio, pubblicava a firma di Kelly McBrideun commento all’elezione di Donald Trump che cominciava così: «Talvolta il peggio accade». E continuava descrivendo il presidente eletto come una persona che «usa gli stranieri quali capri espiatori, marginalizza le donne, invoca la violenza contro le minoranze religiose è più bugiardo dei suoi rivali». E incitava i colleghi giornalisti a perseverare nella lotta. Varie componenti della rete di Poynter (peraltro finanziata dal noto filantropo Soros) hanno ricevuto accuse di essere schierati politicamente, e tutti dalla stessa parte. È il caso ad esempio di “ABC News”, il cui principale corrispondente politico durante la recente campagna presidenziale negli Usa, George Stephanapoulos, oltre a essere ex portavoce di Bill Clinton, era un abituale donatore alla Clinton Foundation – fatto non rivelato agli spettatori come buona condotta etica avrebbe richiesto”.
Veniamo alla fronte italiano nella lotta alle Fake News.
“In Italia uno schieramento trasversale di senatori ha avanzato il disegno di legge 2688 sulla «prevenzione della manipolazione dell’informazione online». I firmatari considerano «peggio ancora» delle bufale le «opinioni che rischiano di apparire più come fatti conclamati che come idee». I quattro senatori giudicano queste opinioni «legittime», ma è comunque un campanello d’allarme che, in un documento ufficiale, le opinioni siano accostate alle fake news – tra l’altro in una proposta di punire queste ultime come reato”.
Punire in che modo?
“Il punto di partenza è rappresentato dall’articolo 656 del codice penale, quello sulla diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, che è duplicato in un bis dedicato esplicitamente all’utilizzo di mezzi elettronici/telematici. Eliminando però un discrimine fondamentale: l’art. 656 configura il reato solo qualora «possa essere turbato l’ordine pubblico», mentre il proposto bis elimina tale requisito.
Inoltre l’aggiunta di un bis e di un ter all’art. 265 del codice penale andrebbe a punire con la carcerazione la diffusione di «voci o notizie false, esagerate o tendenziose che possano destare pubblico allarme» o «recare nocumento agli interessi pubblici» o «fuorviare settori dell’opinione pubblica». Il punto è che l’attuale art. 265 è quello sul «disfattismo politico», che punisce la diffusione delle suddette voci o notizie false, esagerate e tendenziose ma «in tempo di guerra»”.
Cioè mi sta dicendo che i nostri parlamentari vogliono imporre ad internet il codice di guerra? Con le accuse contro il disfattismo?!
“Sembra che la volontà dei legislatori sia proprio quella di traslare in tempo di pace una norma pensata per il tempo di guerra. Così il «menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico» è trasformato, nella casistica più grave pensata dai proponenti (con pena detentiva non inferiore ai due anni), in «minare il processo democratico, anche a fini politici»”.
Sono provvedimenti gravi. Vorrei cercare qualche appiglio atto a giustificare il ricorso a simili espedienti (volendo escludere una crassa malafede e una esigenza di autotutela di un ceto politico in difficoltà). Insomma un minimo di fondamento la crociata contro le Fake News ce l’ha?
“Non si può ignorare la proliferazione di siti e blog sensazionalistici, o incentrati su false notizie, che deteriorano la qualità dell’informazione. Tuttavia, bisogna riconoscere che fenomeni hanno un impatto meno grave rispetto allo scadimento di qualità che ormai da anni interessa i media mainstream. In ciò Internet può aver avuto un ruolo, ma ad esempio il click-baiting non è che la versione digitale del vecchio ricorso a titoli sensazionalistici per attirare l’occhio del lettore nelle edicole”.
La verità è che ci vorrebbe un autentico discernimento (“fact-checking” secondo la lingua dominante) sia nei confronti dell’informazione ufficiale che di quella alternativa e bisognerebbe evitare il dilagare di contenuti d’odio, di diffamazioni, di “tecniche del capro espiatorio” tanto sulla CNN quanto sull’ultimo blog a pretese informative…
“Tutti i nostri sistemi giuridici puniscono già la diffamazione, senza bisogno di nuove leggi. Il problema è che la pratica del fact-checking ha già dimostrato come il giudizio straripi nel campo dell’opinione, e come anzi il giudizio sulle opinioni divenga persino prevalente. Il lavoro di fact-checking è prezioso, da tutelare e incentivare nella misura in cui davvero si dedichi all’accertamento dei fatti, ma va evitata la sua strumentalizzazione come giudice falsamente oggettivo delle opinioni; né tanto meno si possono elevarne i verdetti a legge”.
Altrimenti si torna alla censura di epoca fascista e ai prefetti che cambiano i testi delle canzoni…
“Oltre al rischio di un ritorno a una censura vecchio stile, il pericolo deriva dall’idea stessa di interpretare la politica non più come contesa tra valori e opinioni differenti, ma tra Vero e Falso. Il primo è il carattere della democrazia, il secondo delle guerre di religione. Evitare la delegittimazione dell’interlocutore politico è non meno importante che garantire un’informazione il più possibile corretta”.