Pubblichiamo una lettera di Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse a Pietrangelo Buttafuoco. E’ un documento sulle visioni che restano della politica e sulle occasioni perdute da un mondo affondato a causa della “pesca delle occasioni” e da una classe dirigente che “non seppe farsi esempio”. (mdf)
Caro Pietrangelo,
erano (eravamo) visionari senza visibilità. Rivoluzionari senza rivoluzione. Colti senza cultura. Parlo dei Tarchi, ma anche dei Solinas, dei Cabona, dei Croppi (oggi malfinito assessore), dei Peppe Nanni (neppure assessore), e di tutti quelli che volevano (volevamo) farla nuova. Parlo della Destra, immaginata tra gli anni ’70 e ’80. Gli anni delle spranghe, delle botte, della – come la chiami tu – “inutilità di stare al mondo”. Sulle spalle il fardello di “Roma rivendica l’Impero”, delle leggi razziali (quelle italiane del ’38, non quelle americane degli anni ’60), del “Duce che ha sempre ragione”, delle macerie delle città bombardate, della sconfitta epocale, storica, definitiva.
Sempre risucchiati all’indietro dagli avversari, ma anche, soprattutto, da un partito che nel ghetto ci stava benissimo e per il ghetto si era organizzato, spendendo fino all’ultimo spicciolo l’eredità come un qualsiasi barone siciliano decaduto. I morti, i feriti, i dispersi finivano per servire al partito di Almirante. Andava bene così. Che bisogno c’era di tentare di farla nuova, diversa da quella di Tremaglia che olezzava di militari in libera uscita in una casa di tolleranza? O da quella comiziaiola delle piazze almirantiane, dalle quali uscivi ubriaco di retorica e senza un concetto, una idea che non fosse quella di lisciare il pelo ai benpensanti, ai bottegai, ai moderati (Dio li stramaledica!), assetati di pena di morte? Lotta al sistema d’accordo con il sistema, con i suoi apparati, i suoi “servizi”, le sue “piazze Fontana”.
Antidivorzio e anticomunismo, acquasanta e mogli (plurale) con amanti, socializzazione e contributi dalla Confindustria. Andarono (andammo) a cercarla nella “terra di mezzo” questa “nuova Destra”, tra le pagine di Tolkien, fatto conoscere in Italia da De Turris su “L’ITALIANO” di Pino Romualdi, l’incompreso inventore del partito. In quella terra erano (eravamo) al riparo dal più terribile problema del nostro tempo che è quello, come diceva Cocteau, della stupidità che pretende di pensare e che oggi pure urla. Credevano (credevamo) di metterci al riparo dai giornalisti spioni della redazione romana di un noto quotidiano, dai massoni delle diverse confraternite occidentaliste, dai generali immerdati nel gioco politico.
Proprio non ci pensava a farsi nuova quella Destra dei pellegrinaggi a Predappio con acquisto di gadget, dei “ranci camerateschi”, delle commemorazioni in camicia nera del 28 ottobre, dei santini elettorali con “il testone’, della ripetizione dei riti più ridicoli del ventennio, delle macchiette alla “vogliamo i colonnelli”. La società stava cambiando; forse occorreva pensarla “simultaneamente”, con la parte destra e quella sinistra del cervello e del cuore. Non ci sarebbe neppure stato bisogno di capi missini colti; sarebbe bastato il loro rispetto per la cultura, la curiosità intellettuale per i nuovissimi appuntamenti con la storia, con il grande gioco delle idee.
A ben pensarci, il rifugio nel fiabesco era il modo, il tentativo, di preservare una comunità spontanea e volontaristica contrapposta al neofascismo imposto e al comunismo arcocostituzionalista. Oggi potremmo riferirci al “becerodestrismo” alla Feltri e al “luogocomunismo” degli intellettuali snob. Ufficialmente Tarchi fu fatto fuori da Almirante, ma certo il più contento fu Rauti. Gli faceva ombra; pensava, organizzava, scriveva, immaginava. E agiva. Meglio Fini: obbediva a Almirante, ma finiva per tenere unita la sua corrente, ben chiusi i suoi scheletri nell’armadio e gli lasciava la parte del “pericoloso rivoluzionario” con pennichella pomeridiana. Oggi Rauti è il suocero del sindaco di Roma. Poi, con il primo “sdoganamento” (quello politico di Craxi, non quello da supermercato di Berlusconi), arrivarono i posti nelle società comunali, il sottopotere occultato ma presente, le prebende che facevano tanto socialista.
Con un “Amen” a quelli che, come Beppe Niccolai, sognavano, una classe dirigente che potesse farsi esempio. Perciò “quell’esperimento (quasi) riuscito di Destra comunitarista, libertaria, militante, non occidentale, creativa e persino anche musicale” non riuscì. Non poteva riuscire. C’era Almirante con la sua “palude dorotea”; c’era la corrente lottizzatrice di posti dentro il partito dei Gasparri, della “premiata antica famiglia Larussa” e di quelli che squittivano e si spellavano le mani per ogni dittongo del capo. Proprio come oggi per il “Dapporto di Arcore”. Sono stato vaccinato da Pino Romualdi contro il culto della personalità. Davanti alle “piazze del Popolo” stracolme e osannanti, riempite, come sussurrava sottovoce Giorgio, “senza nemmeno le cartoline precetto come faceva LUI”. Continuava a dirmi che gli era largamente bastato averne seguito uno solo di uomo nella sua vita. Che di piazze ne aveva riempite molte, ma non aveva avuto sempre ragione, anzi!
Prima o poi il berlusconismo finirà
Prima o poi, per fortuna, il berlusconismo finirà, senza bisogno dell’intervento di qualche pronipote di Bresci; o, forse, visti i risultati elettorali di oggi, perché stiamo per entrare nella fase jugoslava del nostro destino di popolo; una fase pericolosa ma, temo, necessaria per una società che si è invigliacchita nell’egoismo sociale più indecente. Per questo non strepisco a sentire la definizione “Destra – Destra”. Dov’è, dove si annida, dove pensa, dove scrive, quali segnali di vita manifesta? Dentro il Pdl? Con Bondi, Verdini, Cicchitto e Larussa? O con “Capezzolone”? In Sicilia? Nel Lazio? In Calabria? In Campania? O in Lombardia con la nota “associazione per delinquere di stampo cattolico”?
E nemmeno, caro Pietrangelo, mi commuovo per qualche conato comunitaristico di qualche bravo e colto (lo so che ce ne sono) ragazzo della Lega. Non butto una patria, per quanto sputtanata e sbrindellata, per costruirne una bonsai neppure troppo pulita. Sono troppo convintamente ateo-spiritualista per prendermela con le religioni degli altri, né desidero alabame di alcun tipo. Per “fare futuro”, paradossalmente, bisognerebbe prima “fare passato”; quello di Tarchi e dei suoi amici degli anni ’70, appunto. Io l’ho fatta finalmente finita con questa illusione ottica, con questo fuoco fatuo, con questa finzione televisiva che è la destra, espressione giusta dell’Italia più mediocre. Poi, terminata la sbornia berlusconiana (democrazia, democrazia quanti crimini in tuo nome!), si vedrà. Nel frattempo mi metto alla “SINESTRA”. (da Il Foglio del 31 marzo 2010)