Pubblichiamo un commento di isabella Cesarini sui troppi post di cattivo gusto e di nessuna ironia riservati alla tragedia dell’Hoter Rigopiano di Farindola, ai piedi del Gran Sasso
C’era una volta l’imputato Charlie Hebdo, lo stesso che prima venne portato in trionfo mediante un “Je suis”. Dunque da un lato loro, dall’altro noi col dito puntato ben disteso. Ora ci siamo noi, non dalla Francia, non dalle colonne di un giornale, non retribuiti, ma da un piccolo post di un sempre più piccolo social, ci gettiamo in improvvisazioni clownesche prive di livello. Oggi che il periodico settimanale francese tace, arrivano le schiere di coloro che hanno frainteso alla base il concetto di umorismo. E forse hanno anche dimenticato di essere italiani, parte di quel cuore che è stato fatalmente frantumato e il sangue continua a colare incessantemente. E quell’organo è il nostro cuore, dovrebbe pulsare all’unisono anche nella distanza. Contrariamente nella mia piccola navigazione, mi imbatto in coloro che in questo momento si danno un’investitura, tra l’altro non richiesta: il dovere di far ridere che in realtà non è altro che una forma narcisistica portata all’estremo della voglia di provocare e magari, quando va bene, anche scioccare. Nello specifico di una tragedia, di questa, il risultato prende solo un verso: il ridicolo. Il voler attirare attenzione nella sproporzione, finisce nella crapula del nulla. E quello che ricade indosso è una violenta slavina di inconsapevolezza: l’essere totalmente fuori luogo.
Sempre nel bel mezzo della mia navigazione leggo l’amara quanto stolta associazione con l’Overlook Hotel del capolavoro di Stanley Kubrick: Shining. Ma l’Hotel Rigopiano non contempla una sapiente regia, una bella segretaria di edizione e un suggestivo set cinematografico. In questo luogo c’è la vita che si è fatta morte in un momento di sospensione, durante una vacanza; qui si manifesta la violenza e l’indifferenza di una natura che è meno impreparata dell’uomo. Un luogo vacanziero di quattro piani, piegato su se stesso: di fatto neve, macerie e ancora neve sulle macerie. Seguono frazioni dove le persone nel 2017, devono dissetarsi con il nemico, una palla di neve diventa la fonte da cui abbeverarsi.
Non accade il romantico “Nient’altro che del bianco a cui badare” del poeta francese Arthur Rimbaud. La poesia nella tragedia nasce solo nel ricordo, nella memoria fotografica e umana. Nell’immediato, il poeta si immola nel silenzio. Accanto al fantasma di un albergo e dei suoi spiriti, sopravvivono le tende di coloro che ad agosto 2016 credevano in quella meravigliosa affermazione: “Non vi lasceremo soli”. Dichiarazione che avrebbe raggiunto la completezza in “soli e nelle tende”. Seppur capeggiati dalla nuova figura di un sindaco guerriero, soli e isolati lo erano già dal giorno dopo il terremoto: divisi da un figlio rimasto sotto le macerie di una casa ridotta in polvere. Dunque era necessario un accreditato meteōrológos, un autorevole ingegnere o un avvalorato mago per prevedere che a dicembre il clima non avrebbe tratteggiato quello di agosto? Il freddo si fa gelo non solo intorno a quelle tende, ma nei cuori di chi ha fortemente creduto in quell’ingannevole affermazione di fine estate. Non latita la solidarietà della gente cosiddetta comune (che nulla ha di comune), ma quella di coloro che seguitano nei vertici di palazzo. Riunioni che non dovevano svolgersi sotto il tetto malandato dell’in exstremis. La solidarietà del castello non è una scelta, ma figura un dovere categorico. Dovere di una grande madre che avrebbe dovuto prendersi cura di tutti i suoi figli. In luogo del materno accade l’immagine di un’immensa prostituta, pronta a vendersi al miglior acquirente, magari una banca. Pertanto cessiamo questo verso di buttarla sempre in battuta, poiché qui non ci sono trame da sdrammatizzare ma obbligo di prendere coscienza. Ancora impegno, che dovrebbe fluire naturalmente, di riesumare il dimenticato campanilismo, tanto caro ai cugini francesi e in merito mi permetto una sana invidia. Calarsi negli abiti sporchi di dolore di una nazione colpita al cuore e non in quelli colorati di pagliacci improvvisati.
Il limite esiste ed è ben delineato, se tacciono quelli di Hebdo, sono certa che possiamo farcela anche noi. Scrivo con il cuore di chi custodisce in parte origini abruzzesi e con lo sconforto di chi vive in una cittadina dove manca all’appello una giovane coppia in vacanza all’Hotel Rigopiano. Ma più di ogni altra cosa, parlo con la voce rotta e con l’orgoglio integro di far parte di un’Italia che non riesce a trovare nulla di divertente o ironico in una storia che vede solo sconfitti. Escludendo la violenza della natura, parte della tragedia poteva essere evitata o quantomeno arginata. Non è proibito ridere, ma se non altro, facciamolo davanti a un film di Totò.