Il commento-analisi dell’ambasciatore Gianni Marocco sul battesimo alla Casa Bianca del presidente Donald Trump
Venerdì 20 è il gran giorno dell’insediamento di Donald John Trump a 45esimo Presidente degli Stati Uniti. Ed ogni giorno porta una polemica nuova, come le ipotizzate liste di proscrizione per i repubblicani anti-Trump, spesso bufale ed accuse ridicole, segno che gli avversari non hanno metabolizzato la sconfitta di novembre. Non ci saranno, come era ancora ai tempi di Kennedy, limousines scoperte e cappelli a cilindro, spazzati via dagli spari di Dallas.
Ma il bulldozer Trump, eletto a furor di popolo contro tutto e tutti – a partire dall’establishment del suo partito, il Gran Old Party, dal 1854 protagonista della politica statunitense – amante del bombastico e dell’opulento, certo troverà, nell’assenza di fair play di vari politici, il modo per rendere questo suo giorno di gloria esteticamente indimenticabile. Nonostante il boicottaggio di molti personaggi dello spettacolo, minacciati dalle rispettive corporazioni (anche negli USA il rispetto per l’elettore è ormai ridotto a poca cosa, specialmente quando non vota a sinistra), e le assicurazioni di sobrietà sullo svolgimento della cerimonia.
Trump, come quando rappresentava sé stesso in un famoso Reality televisivo, non se ne curerà forse molto. È abituato a spianare ciò che gli si pone davanti, più che a lavorare di diplomazia e di fioretto. In politica interna, in una intervista al “Washington Post”, egli ha intanto ribadito di voler sostituire la controversa legge sulla sanità voluta da Obama, la cosiddetta “Obamacare”, con un piano che prevede una assicurazione per tutti. Il neo Presidente ha poi ribadito la sua concezione protezionistica dell’economia, tendente a privilegiare imprese e lavoro americani, con dazi (invisi particolarmente ai cinesi, come ovvio, comunisti diventati paradossalmente strenui difensori del “libero mercato”) e contro le delocalizzazioni di grandi imprese (la Ford ha sospeso un mega investimento in Messico, il Paese più colpito, e non solo per la questione del Muro, dal nuovo corso).
Identità vs burocrazie europee
In politica estera Donald Trump ha affidato il suo pensiero, senza peli sulla lingua, al venerabile “Times” di Londra ed al popolare tedesco “Bild”, vicino alla Cancelliera Merkel. Per Trump la Brexit è stata una benedizione, nell’ottica di Paesi Europei che desiderano mantenere la “propria identità”, soprattutto oggi di fronte a masse di immigrati africani ed asiatici. Secondo Trump la decisione della Merkel, di accogliere un milione di rifugiati negli ultimi due anni, è stato invece “un errore catastrofico”. L’Europa di Bruxelles gli sembra un coacervo di regole burocratiche che impediscono lo sviluppo e gli investimenti. Economicamente (ma anche politicamente) dominata dalla Germania – Paese dal quale giunsero due suoi nonni – ed in fase di disgregazione, l’UE si “sbriciolerà”.
La Nato obsoleta
Per quanto concerne l’Alleanza Atlantica, Trump si dice impegnato alla difesa dell’Europa dell’Occidente, ma la Nato gli appare obsoleta, deve essere riformata per poter combattere il terrorismo islamico, ed i suoi membri hanno creduto troppo a lungo che gli Stati Uniti pagassero e combattessero anche per loro. Critiche durissime nella intervista per l’accordo di Obama con l’Iran: “questo accordo non va bene, è uno dei peggiori mai stipulati”. Anche l’invasione dell’Iraq, per il “non politico” di professione, prossimo inquilino della Casa Bianca, è stata una delle decisioni più stupide mai prese. Circa la Russia le sanzioni vanno tolte, i rapporti devono migliorare, e anche se Trump apprezza Putin, così come stima la Merkel, è pronto a tagliare i rapporti con tutti e due e lo dice con l’abituale durezza. Il sermone aspro di un predicatore che percepisce peccati, inquietudini, motivi di crisi e non perde tempo in giri di frase.
La profezia di Tremonti
Giulio Tremonti aveva già teorizzato in “Uscita di sicurezza” (2012) le crepe nel sistema politico economico a cui si è uniformato l’Occidente. In una intervista sul “Corriere della Sera”, accennando ora alla “fine di un’epoca”, analogamente al Muro di Berlino caduto, il 20 gennaio 2017 sarà per lui “la fine dell’utopia della globalizzazione”. Un’utopia che era stata costruita sulla base del “politically correct” e “responsibility to protect”, durata vent’anni. Lanciata nel 1996, col secondo mandato di Bill Clinton, immaginata come l’anno zero dell’umanità, articolata come il progetto di creazione dell’uomo nuovo e di un mondo nuovo. L’uomo “consumatore ideale”, a cui vanno cancellate radici e tradizioni, conforme allo schema del consumo e del comportamento politicamente corretto. E la democrazia da esportare, quasi fosse un hamburger di McDonald’s…
Difficile non immaginare James Ellroy, noto per i suoi romanzi polizieschi, tra cui la “tetralogia di Los Angeles” (Dalia nera, Il grande nulla, L.A. Confidential e White Jazz) e la “trilogia americana” (American Tabloid, Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio) sorridere sardonicamente il prossimo 20 gennaio. Uno scrittore tanto apprezzato, quanto odiato. Dalle sue opere sono stati tratti numerosi film. Ha detto di sé: “Sono un americano religioso, eterosessuale di destra, sembra quasi che sia nato in un’altra epoca. Non penso che il mondo collasserà a breve, non penso che l’America sia una forza diabolica, ma penso che l’America prevarrà nel mondo della geopolitica. Sono un cristiano nazionalista, militarista e capitalista. Nella mia vita mi sono concentrato su poche cose e da queste sono riuscito a trarre profitto. Sono molto bravo a trasformare la merda in oro”.
Epitome dello stesso Trump e di una democrazia “fondata sul denaro”, di quell’ “America Profonda” che ha dato fiducia a Big Donald. Quella dei cubani e dei “senza lavoro”, quella delle auto modificate, delle corse, delle armi libere, delle Harley e choppers rombanti, del wresting, baseball, cheerleaders, ossessionata con la sicurezza, senso della famiglia, superstiti valori sciovinisti e tradizionali, per decenni fondamenti dell’American dream, stanca degli eccessi del politically correct, del gender fluid e dei “sensi di colpa”. Non necessariamente bianca, né, tanto meno, WASP.
Per il resto, ciò che concretamente ci riserverà la Presidenza del magnate newyorchino, al momento è quasi tutto allo stato congetturale. In politica, specialmente quella estera, non si applica la prassi dello sconto e si paga tutto, anche per il passato.
*già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay