Pubblichiamo l’articolo in pubblicazione su Il Borghese di febbraio firmato da Adalberto Baldoni, scrittore e storico della destra: è un ritratto di Gianfranco Fini con un elenco (sterminati) degli errori che ha commesso chiudendo tragicamente la sua storia politica, con evidenti conseguenze che ricadono sulle attuali forze di destra presenti in Italia
I FATTI IN SINTESI. DALLA CASA DI MONTECARLO ALLE SLOT MACHINE
Correre dietro all’inchiesta giudiziaria che sta imbrattando di fango Gianfranco Fini, i suoi amici (tra le sue “conoscenze” e frequentazioni il re dello slot machine, Francesco Corallo) e i suoi più recenti familiari, sarebbe un errore. Tenendo conto che il Borghese è un periodico, non un quotidiano né un sito online.
Ogni giorno la vicenda (deflagrata verso la metà dello scorso mese) che coinvolge l’ex leader di Alleanza nazionale si arricchisce di nuovi episodi che potrebbero anche investirlo personalmente. Fino a questo momento sono finiti in cella quattro persone tra cui Corallo e l’ex parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta (ora tornato libero, ndr), a cui era legato da fraterna amicizia. Inquisiti Elisabetta Tuliani, nuova moglie di Fini e suo fratello Giancarlo. In particolare Laboccetta, fedelissimo di Fini (a cui deve, tra l’altro, la “nomina” a deputato), ha confessato ai magistrati (il carcere porta consiglio… ) che esisteva un rapporto diretto tra Francesco Corallo – di cui era stato dipendente – e l’ex leader di Alleanza nazionale.
Non bisogna dimenticarsi che Fini era stato indagato per truffa in relazione alla casa di Montecarlo, immobile lasciato in eredità ad Alleanza nazionale da Anna Maria Colleoni, “per la giusta causa”, dato che da ragazza aveva militato nel Fuan, l’organizzazione universitaria parallela al Msi. L’appartamento era stato venduto dal partito a prezzi stracciati per 330 mila euro l’11 luglio 2008 alla Printemps Lid di Saint Lucia, riconducibile a Giancarlo Tulliani. Nell’ottobre dello stesso anno era stato rivenduto alla Timara Lid di Elisabetta Tulliani, sorella di Giancarlo. In seguito l’abitazione, nel novembre 2015, era stata ceduta a un milione e 400 mila euro…(…) L’iscrizione nel registro degli indagati, però, rimase segreta ed emerse solo quando venne richiesta per entrambi l’archiviazione l’11 marzo 2011 (…).
APPROVATO IL DECRETO PRO SLOT, PIOVONO MILIONI DI EURO SUI CONTI BANCARI DEI PARENTI DI FINI. Secondo la ricostruzione dei magistrati, la società del boss delle slot, Francesco Corallo, la Bplus, non avrebbe versato per oltre dieci anni le imposte allo Stato italiano del quale era concessionario per circa 215 milioni di euro. Il bonifico più rilevante è del 2009 quando 2,4 milioni di euro vengono dirottati sul conto del suocero di Fini, Sergio Tulliani. La Finanza ha rintracciato la specifica di quel versamento: “liquidation foreign assets-decree 78/2009, 2,4M. Euro”. Ossia il pagamento sarebbe legato al decreto del governo Berlusconi che agevolò le concessionarie delle slot machine, permettendo loro il mantenimento della concessione e l’apertura del mercato delle slot più redditizie, le vlt. In quel periodo Fini era presidente della Camera. Soltanto i gonzi possono credere che non abbia prestato attenzione ad provvedimento che riguardava suoi familiari e suoi amici. Un decreto, del resto, che gonfiava i portafogli dei Tulliani. Aggiungiamo noi: un regalo a chi intascava (e intasca) milioni di euro approfittando della debolezza o della dabbenaggine di migliaia di italiani che spesso rovinano se stessi e le loro famiglie giocando alle slot, nella vana speranza di vincite che potrebbero cambiare in positivo la loro vita.
All’indomani della clamorosa notizia degli arresti di Corallo e Laboccetta, Antonio Rapisarda, ha ricordato sulle colonne del Tempo che sei anni e mezzo fa, in piena querelle Fini-Berlusconi, il Secolo d’Italia, allora “organo finiano” , in merito alla casa di Montecarlo, aveva scritto che era in atto un linciaggio contro Gianfranco Fini, che la questione era una “surreale bufala”, un’ indegna “macchinazione” ordita da Berlusconi per danneggiare il presidente della Camera. Rapisarda ha quindi tentato di raggiungere i vecchi esponenti di Futuro e Libertà, il partito creato da Fini dopo l’uscita dal Pdl, allo scopo di raccogliere qualche dichiarazione sull’ indagine della magistratura in corso. Ha scritto Rapisarda: “Abbiamo provato a ricontattare tutti gli ex fedelissimi, ma l’imbarazzo è generale … (…)
Altro soggetto contattato da Rapisarda è stato Italo Bocchino, “instancabile attivista della fronda finiana”. La risposta è stata cortese ma secca: ‘Colgo l’occasione per salutarti’. Stop”. Anche Fabio Granata si è limitato ad affermare che “esiste una macchinazione assoluta” contro Fini. (Si veda: Antonio Rapisarda, “La grande menzogna”, Il Tempo, 15 dicembre 2016). Per la cronaca: Bocchino, attualmente alla guida del Secolo, sia come direttore editoriale che politico (dopo una parentesi agli ordini dell’imprenditore campano Alfredo Romeo, come responsabile delle “relazioni esterne”) , ha costruito la sua carriera al seguito dell’indimenticabile Pinuccio Tatarella, a cui deve anche il seggio di deputato. Scomparso Pinuccio, si è sempre allineato sulle posizioni di Fini, soprattutto dopo la “svolta” antifascista dell’ex leader di An nei primi anni Duemila. Quando i giovani di Alleanza nazionale si sono schierati contro Fini che, alla festa di Atreju nel settembre 2008, li aveva invitati ad abbracciare i valori dell’antifascismo, Italo Bocchino ha sentenziato: “ Svolta giusta. Chi non sa cambiare resta fuori dalla storia”. All’intervistatore (Luca Telese, il Giornale, 15 settembre 2008) che gli faceva notare che i giovani di destra erano “affezionati ai loro valori e alla loro identità”, ha risposto di non capirli, sia perché non rappresentano i “milioni di giovani che hanno votato Pdl”, sia perché la “nostra destra non può essere tacciata di antifascismo”.
GASPARRI E STORACE: “ PERSEGUIRE I COMPORTAMENTI ILLECITI”. Non poteva mancare una presa di posizione di Maurizio Gasparri sull’affaire Fini-Tulliani. Il vice presidente del Senato, ha affermato che “ ora che sono emerse verità evidenti sulla casa di Montecarlo, la Fondazione An, che gestisce il patrimonio di una vasta comunità, deve con urgenza valutare se agire in sede giudiziaria a tutela dei suoi beni”. Da parte sua Francesco Storace ha detto che “la prima cosa che dovrebbe fare la Fondazione An è quella di preservare una storia, a cominciare dal suo simbolo che non può coprire comportamenti illeciti che non si fermano certo a Montecarlo. E il silenzio di molti e di troppi è eloquente”. Giova rammentare che Storace, dopo la rottura con Fini, si era dimesso il 3 luglio 2007 da Alleanza nazionale per fondare una nuova formazione politica, La Destra, a cui aveva aderito anche Teodoro Buontempo. Motivo dei contrasti con Fini: la mancata convocazione di un congresso nazionale che non si teneva dal 2002 dove discutere alcuni problemi essenziali, come quello dei rapporti con il Partito popolare europeo. A tale riguardo l’ex governatore del Lazio aveva detto: “Non vogliamo morire democristiani”, anche se “è chiaro che dobbiamo capire i tempi che mutano, ma i pilastri li dobbiamo tenere ben chiari in testa”.
IL COMITATO CULTURALE DELLA FONDAZIONE AN: TUTELARE L’ONORABILITA E L’ EREDITA’ SPIRITUALE, ETICA E PATRIMONIALE DELLA DESTRA ITALIANA. Si è mosso tempestivamente anche il Comitato culturale della Fondazione che, riunitosi il 15 dicembre, sotto la presidenza di Marcello Veneziani, ha diramato un durissimo comunicato in cui si afferma di raccogliere “il disagio e la sofferenza di quanti si sono riconosciuti per anni nel grande patrimonio ideale, morale e politico della destra nazionale e sociale, spesso pagando di persona la loro scomoda e onesta militanza, sacrificandosi o sostenendo prima il Msi e poi An con generose donazioni. Una vicenda così oscura non può trascinare un’intera area politica e una comunità di più generazioni , a cui proprio in questi giorni la Fondazione ha dedicato una Mostra per ricordare i settant’anni della nascita del Msi”. Il Comitato ha quindi chiesto alla Fondazione An di “pronunciarsi in merito, intraprendendo tutte le iniziative conseguenti per tutelare l’onorabilità e l’eredità spirituale, etica e patrimoniale della destra nazionale, dei suoi esponenti, militanti e simpatizzanti”.
IL CINICO STRAPOTERE DI FINI. Ha ragione il sanguigno Storace quando afferma che il silenzio di molti è eloquente. Chi si rifiuta di parlare, chi svia il discorso, chi addossa ad altri le responsabilità delle sconcertanti vicende, chi finge di non avere mai conosciuto il sovrano di via della Scrofa, “personaggio” divenuto ingombrante. Un monarca assoluto che esigeva fedeltà assoluta da chi era disposto a fargli da zerbino, assecondando le sue giravolte umorali più che politiche. In premio ai sudditi che quotidianamente lo osannavano facendogli credere che fosse il più intelligente leader del secolo, contando anche sulla rete di discutibili alleanze che si era procurato, distribuiva incarichi in aziende pubbliche e private nonché seggi alla Camera e al Senato. Garantendo ai suoi sudditi lauti stipendi, privilegi, vitalizi. Fini quale assicurazione per la vita, per la vecchiaia. Lo strapotere di Fini è aumentato a dismisura quando la destra è divenuta “destra di governo”. Ciò gli ha permesso di fare nominare ministri suoi amici, anche se inadatti o incapaci di ricoprire l’incarico assegnato (l’investitura dell’ex sbardelliano Andrea Ronchi, ad esempio, alle Politiche comunitarie), oppure di piazzare in ogni regione suoi sodali in collegi sicuri (come i romani “de Roma” Claudio Barbaro nelle Marche, Marco Martinelli e Flavia Perina in Toscana, il citato Ronchi in Lombardia, penalizzando militanti ed esponenti locali che avevano fatto il mazzo per far crescere il partito nel proprio territorio), nonché di compilare (o fare compilare dai suoi fedeli) le liste per le elezioni regionali e comunali, ponendo il veto a chi, pur rivestendo incarichi locali, si era permesso di criticarlo o di ostacolare le sue manovre. A suo merito avere trovato un’occupazione parlamentare a chi gli aveva portato la borsa (portaborse e segretari particolari sono necessari), curato le scartoffie, a chi lo aveva portato a caccia, o lo aveva accompagnato nelle immersioni subacquee
Di lui si ricorda, tra l’altro, la cacciata di Maurizio Gasparri da ministro delle Comunicazioni il 15 luglio 2005 (imposta a Berlusconi) quando Il Tempo aveva riportato una chiacchierata al bar romano “la Caffettiera” tra Altero Matteoli, Ignazio La Russa e Gasparri dove gli ultimi due, con frasi sarcastiche, avevano messo in dubbio la capacità del presidente di potere continuare a gestire il partito. L’indomani Fini aveva revocato loro gli incarichi fiduciari e sostituito tutti i coordinatori regionali legati alla corrente Destra protagonista. Al posto di Gasparri aveva fatto nominare il povero Mario Landolfi (suo amico) che, arrivato al ministero delle Comunicazioni non sapeva che pesci prendere. Risultato: scarse apparizioni al dicastero, distruzione di tutto ciò che di buono era stato fatto fino allora: la Commissione per l’assetto radiotelevisivo di cui facevano parte Rai, Mediaset, tutte le altre emittenti televisive nazionali (13) e locali (1610) oltre a 600 emittenti radiofoniche, i rappresentanti delle Regioni, il Consiglio delle Comunicazioni, gioiello di efficienza e fiore all’occhiello del ministero, attorno al quale ruotavano l’Osservatorio “Sguardo giovane” (composto da una elite di giovani laureati, esperti in comunicazioni), il Centro per gli studi economici collegato alla Fondazione Bordoni, il Comitato di controllo sulle televendite, il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione per la tutela dei minori in tv (presieduto dall’ex direttore del Tg 1, Emilio Rossi), il Comitato di garanzia del Codice di autoregolamentazione internet e minori (presieduto dal prof. Danilo Bruschi). Ronchi alle Politiche comunitarie al posto di Adriana Poli Bortone, Landolfi alle Comunicazioni in sostituzione di Gasparri: frutto di meschine vendette, ripicche, calcoli personali, manifestazioni di onnipotenza a chi non si prostrava ai suoi piedi. A discapito dell’efficienza, della produttività, della rappresentatività.
PRIMA FASCISTA E POI ANTIFASCISTA, MAI DEMOCRATICO. Fini ha gestito più che guidato An a suo piacimento, modificando le linee guida del partito senza consultare la base attraverso le assemblee congressuali. In quindici anni soltanto tre congressi, il primo a Fiuggi nel 1995 per sciogliere il Msi e fondare An (alla prova dei fatti un fallimento completo), il secondo a Bologna nel 2002, il terzo, il più mesto, nel 2009, quando é stata spenta definitivamente la fiamma. Soltanto tre congressi, dicevamo, che hanno impedito alle classi dirigenti emergenti in periferia di valorizzarsi nella dialettica congressuale, trasformando An in un partito romano- centrico senza democrazia interna. Quando, nel maggio 1988, sono scomparsi quasi contemporaneamente Pino Romualdi e Giorgio Almirante, fondatori assieme ad Arturo Michelini del Msi, a funerali conclusi davanti alla Chiesa, ha salutato romanamente la folla che gremiva piazza Navona. Nel 1994 ha dichiarato che “il fascismo é idealmente vivo”, per poi aggiungere “Mussolini è stato il più grande statista del secolo” nel corso di un’intervista al giornalista della Stampa, Alberto Statera. Poi, nel suo intervento alla Camera sulla fiducia al governo Berlusconi (vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del marzo 1994), ha consumato uno strappo con il passato: “Non ho alcuna ragione per negare che l’antifascismo è stato il momento storicamente essenziale perché tornassero in Italia i valori della democrazia… libertà, pluralismo, tolleranza non sono pretesti propagandistici, ma valori in cui An crede. Abbiamo ben chiara la natura antilibertaria del totalitarismo”. Non è finita qui.
GLI STRAPPI DI FINI: VOTO AGLI IMMIGRATI E FASCISMO MALE ASSOLUTO. La politica di Alleanza nazionale va avanti a strappi, dovuti più che altro alle improvvise prese di posizione del suo leader, di cui vengono informati i suoi collaboratori solo a cose fatte. Emblematici, a questo proposito, due episodi accaduti nel 2003. All’inizio di ottobre nel corso di un convegno del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Fini afferma che sono maturi i tempi per discutere sull’opportunità del diritto di voto amministrativo agli immigrati. La sua è una provocazione nei confronti di Umberto Bossi, ma non tutti sono d’accordo con questa sortita che di fatto smentisce i precedenti atteggiamenti dei dirigenti e dei rappresentanti di An negli enti locali, nettamente ostili a questa eventualità, sempre perorata dalla sinistra in cerca di nuovi elettori. A fine novembre Fini si reca in Israele. E’ un viaggio annunciato e programmato. Ma a causare scalpore sono le sue dichiarazioni sul fascismo e le leggi razziali. Dopo il pellegrinaggio al mausoleo di Yad Vaschem, Fini afferma che: “Si avverte fortissimo il dovere di tramandare la memoria e di fare tutto ciò che è possibile per evitare in futuro a un solo essere umano ciò che il nazismo riservò al popolo ebraico”. Fini chiarisce che è un “male assoluto” tutto ciò che ha contribuito all’Olocausto, comprese le scelte italiane che portarono alle leggi razziali del 1938, come pure è un “male assoluto” ciò che è avvenuto nella Rsi quando nei 18 Punti di Verona è stato incluso un apposito articolo dove si specificava che gli ebrei dovevano essere considerati nemici di guerra. (Superfluo rimembrare che il padre di Gianfranco, Argenio detto Sergio, era partito volontario con la X Mas nella Rsi? Aveva vent’anni ma non ha mai rinnegato il suo passato). Le agenzie di stampa diffondono subito la notizia che, in effetti è una e propria bomba mediatica. Senza neppure attendere il ritorno di Fini da Israele per chiarire il corretto significato delle sue esternazioni, alcuni dirigenti (Mirko Tremaglia, Storace, Buontempo) criticano pesantemente il presidente. Un imbarazzato e preoccupato Ignazio La Russa confida ad alcuni amici che il partito virtualmente è sceso dal 12 all’8,5 per cento mentre Domenico Fisichella, inserendosi nelle polemiche giornalistiche, si sforza di dimostrare che il “male assoluto” non esiste. Più drastica Alessandra Mussolini che lascia An e costituisce un altro partito, Alternativa sociale. Un pasticciaccio, quello del “male assoluto”, provocato da un difetto di comunicazione (da notare che l’ineffabile Andrea Ronchi era il suo portavoce) oppure da una calcolata mossa per accreditarsi agli occhi degli antifascisti, dei poteri forti interni ed esteri?
FINI AI GIOVANI DI AN: SPOSATE I VALORI DELL’ANTIFASCISMO. RISPOSTA: STAI SBAGLIANDO TUTTO. IADICICCO: NON SIAMO E NON SAREMO MAI ANTIFASCISTI. Nel settembre 2008 intervenendo alla festa di Atreju al Parco del Celio di Roma, Fini tenta di convincere i giovani di An a condividere le sue posizioni, riconoscendo i valori dell’antifascismo e della Resistenza. Ma la folta platea dei giovani accoglie gelidamente le sue parole che, in verità suscitano solo irritazione. All’indomani il presidente della Camera dichiara ai giornali di avere operato la “svolta giusta”, aggiungendo “quei ragazzi si riconosceranno nei miei valori”. Ma il presidente romano di Azione giovani, Federico Iadicicco, classe 1974, scrive una lettera aperta sul Web indirizzata formalmente “ad ogni italiano” ma in realtà indirizzata a Gianfranco Fini. “ Ce l’ho messa tutta per trovare un motivo valido per essere antifascista – scrive Iadicicco- ma non l’ho trovato, anzi ne ho trovati molti per non esserlo. A questo punto ti prego di capirmi e con me tutti i ragazzi di Azione giovani. Prego Dio affinché ci dia la forza di perdonare chi, in nome dell’antifascismo ha ucciso giovani vite innocenti. Ma cerca di comprenderci: noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti”. Ed ancora: “Circa due anni fa, il più importante sito della rete antifascista italiana, Indymedia, pubblicò un articolo di commento a una iniziativa di Azione giovani di Roma e ritenne utile mettere vicino al mio nome anche il mio indirizzo di casa, con l’evidente intento di puntare l’indice contro di me e di indicarmi come bersaglio da colpire. E allora ho pensato: come potrei aderire alla cerchi dei miei aguzzini? Come potrei dichiararmi antifascista? Inoltre, sono andato un po’ indietro nel tempo, fra gli anni Settanta e Ottanta, comunque non nel 1943, e mi è venuto alla mente che alcune decine di ragazzi come me, che facevano quello che faccio io oggi, sono stati uccisi dall’odio degli antifascisti”. Ovviamente Fini non ha replicato. Per fare comprendere la sua “svolta” , si è recato invece, invitato come “ospite d’onore”, alla cena dell’Aspen istitute per il sessantesimo anniversario dello Stato d’Israele, alla quale partecipava il presidente Giorgio Napolitano. Mentre quest’ultimo elogia Fini, capace di intraprendere un nuovo percorso (che si dimostrerà strumentale per combattere il Cavaliere), Giampaolo Pansa critica pesantemente l’atteggiamento del presidente della Camera: “Io non so se sia un grande leader. So che ha fatto un errore madornale nel non distinguere bene fra l’antifascismo democratico e quello totalitario. E so che ha messo in difficoltà, a partire da oggi, tutti i militanti di An che, in tutta Italia, adesso saranno irrisi e censurati”.
RISPETTO PER I MILITANTI CHE SONO MORTI PER UNA GIUSTA CAUSA. FINI PORTI UN FIORE SULLA TOMBA DI STEFANO RECCHIONI. Fini,è comprovato, ha cambiato di continuo opinione nel corso degli anni. Ad oggi quali sono i valori a cui dovrebbero ispirarsi i giovani? Quelli dell’antifascismo e della Resistenza, come ha proclamato alla festa di Atreju? Oppure, essendo trascorsi circa otto anni da quel suo imbarazzante intervento lodato dall’ex comunista Giorgio Napolitano con cui era già in combutta per spodestare il Cavaliere, ha modificato qualche sua idea? Prima di impartire qualche lezioncina morale sui guai che procurano le slot machine, si faccia portare con la macchina di servizio al Verano dove riposa al riquadro 85 Stefano Recchioni, a pochi metri di distanza dalla tomba di Tony Augello. Stefano è uno dei tre ragazzi assassinati nel gennaio 1978 ad Acca Larentia. Fini dovrebbe averlo scolpito negli occhi. Perché, poco prima che venisse ucciso da un carabiniere, gli stava accanto. Deponga un fiore sulla sua tomba (non preghi, perché ha dichiarato di essere ateo) e mentre compie il gesto pensi a tutti i militanti missini che si sono sacrificati per la “giusta causa”, così come aveva scritto nel testamento Anna Maria Colleoni quando aveva lasciato in eredità al partito la sua casa di Montecarlo. In quel caso si trattava di un immobile. Stefano e tanti altri giovani uccisi dall’antifascismo hanno donato la loro vita per la comunità in cui credevano, e di cui Fini faceva parte. Siamo nel 2017 e la sinistra, istituzionale e non, non ha ancora condannato i crimini commessi negli anni di piombo. Ed allora sia Fini, in nome dell’antifascismo, a chiedere perdono.