Rancore, senso d’abbandono e sfiducia cronica, politica e generazionale, nei confronti dello Stato costituiscono i tratti distintivi dell’esordio narrativo di Flavia Perina, giornalista e donna politica romana, classe 1958, già direttrice del “Secolo”. “Le lupe” (Baldini & Castoldi, 2016; euro 15, pp. 198) è una barbarica vicenda di vendetta e rappresaglia d’una madre, sconvolta dall’omicidio di un figlio, completamente innocente, per mano di un poliziotto, nei paraggi dello stadio. L’accaduto rianima letteralmente un’altra parte di lei, una lei ragazza, militante politica nell’estrema destra, radicale e ingovernabile; le risveglia la memoria di fatti violenti degli anni Settanta rimasti senza giustizia (“ne conosco cento di storie così”, scrive a un tratto), magari perché lo Stato voleva difendere i poliziotti che avevano sparato, magari perché c’erano equilibri politici da mantenere (o da incrinare) oggi del tutto incomprensibili, se non proprio enigmatici. E così, praticamente subito, istantaneamente, la madre borghese, cittadina modello dell’abbiente Roma Nord, prende e torna la ragazza ribelle che era uscita da Rebibbia, un giorno, col montone rovesciato sopra la maglietta, e senza faticare si riallinea a ciò che era stata, e anzi va oltre a ciò che era stata; ritrova le amicizie allontanate (abiurate? Certamente respinte) trent’anni prima e prende, parte e va a identificare e punire il colpevole, in quello che sembra, tecnicamente, un raid.
La vicenda narrata prende, direi molto chiaramente, spunto da un fatto di cronaca di pochi anni fa. Un giovane, Stefano Gugliotta, venne ingiustamente picchiato dalla polizia nei paraggi dello Stadio Olimpico, nel maggio 2010, in via del Pinturicchio – proprio nella strada in cui la Perina ambienta la scena di violenza contro il giovane Carlo Livi. Sulle prime, le versioni fornite sembravano imputare l’accaduto a un episodio di violenza avvenuto nel contesto degli, purtroppo non rari, scontri tra polizia e ultrà nei paraggi dello stadio; il giovane Gugliotta però proprio non c’entrava niente, se ne andava in giro per conto suo col motorino, colpevole solo di essere passato là in quel momento, fregandosene del marasma – e c’è già un giudizio di primo grado, per la cronaca: nove anni dati a quattro poliziotti, stando al Corsera del giugno 2014. La differenza tra il pestaggio al povero Gugliotta e il martirio del personaggio letterario Carlo Livi è tutt’altro che marginale (nella realtà non c’è scappato il morto, grazie a Dio, tanto per cominciare) ma è forse superfluo ricordare che l’episodio del pestaggio a Gugliotta va correttamente inserito nella temperie di quegli eccessi e di quelle cattiverie di alcuni sleali servitori dello Stato che hanno portato alle morti assurde, in questi ultimi anni, di cittadini come Cucchi e Aldrovandi, in circostanze abbacinanti. Flavia Perina ha sempre mostrato eccezionale sensibilità a quelle inchieste e a quelle vicende, in genere, mostrando una solidarietà encomiabile ai famigliari delle vittime. In questo senso, “Le lupe” è una conferma: di una sensibilità, di un coraggio, di una lucidità battagliera, e di una clamorosa fame di giustizia.
L’elemento inatteso, in questo contesto, è però la scelta della madre-lupa protagonista del romanzo – una madre che somiglia molto a Flavia Perina, da parecchi punti di vista – di rifiutare di lottare a mezzo stampa o per vie legali per andare invece a prendersi la sua vendetta sul campo. È un’ammissione di debolezza, una drammatica contraddizione con le battaglie combattute dall’autrice nel tempo, una discesa negli inferi della nostra bestialità. È una scelta cupa, disperata e sconsolata; un precipizio barbarico. Non “giovanilista”, ma giù di lì: irragionevole, istintivo, sconsiderato.
“Le lupe” è stato pubblicato nella collana “romanzi e racconti” della rediviva (periodicamente, da anni, muta forma e nome, a quanto è dato capire) Baldini & Castoldi, che pochi anni fa aveva pubblicato un altro romanzo “destro e generazionale”, pure riferito a una generazione successiva, cioè “Nessuna croce manca” di Mellone; lo segnalo a beneficio dei cultori del genere o dei curiosi, in genere. A livello storico-documentaristico, il passo più interessante e più complesso delle “Lupe” della Perina, un passo probabilmente indigeribile o indecifrabile per la massima parte dei lettori italiani, è quello dedicato a una sintetica narrazione dei tipi umani che popolavano l’area della destra nazionale, prima dello strapiombo forzista e dell’equivoca coesistenza coi leghisti e con certi fantamassoni: sentite qua:
“[…] Erano persone finite quasi per caso nel recinto sempre più stretto della destra, dove convivevano per necessità di sopravvivenza tribù improbabili e assolutamente incompatibili: i matti di Civiltà Cattolica che menavano col crocifisso e i pagani che sacrificavano galli neri al Solstizio d’Inverno, i seguaci del culto di Mitra e quelli di monsignor Lefevre, orientalisti e futuristi, punk e cover-band beatlesiane, evoliani e gentiliani, ecologisti e operaisti, steineriani e monarchici, che una volta saltata la riserva indiana sarebbero finiti a pascolare ciascuno per conto suo senza rimpianti”.
Per la mia esperienza mancano “anarchici stirneriani” e “leali servitori dello Stato”, per completare un quadro di un eclettismo sconcertante, diremmo di un’intelligenza polimorfica, esteticamente “croppiano”.
A livello stilistico, la scrittura della Perina poggia su una buona sensibilità per i dialoghi e su una già notevole – per un’esordiente – capacità di tenere viva l’attenzione del lettore, cambiando con destrezza il ritmo della narrazione; profondo e lacerante lo scavo interiore nell’io narrante, in qualche frangente quasi a rischio autodafé; piuttosto debole e impressionista, invece, la descrizione dell’alterità, soprattutto (e ciò stupisce) dell’altra figlia della narratrice – in generale, direi che la Perina tende a raccontare i personaggi “altri da sé” con una sintesi ricca di aneddotica ma fiacca o abbastanza debole di analisi, e in generale sembra evocarli più che rappresentarli, o anzi additarli a un circuito che può riconoscerli, in base a due o tre pennellate rapide. Troppo rapide per chi, come me, è nato nel 1978, e in generale è stato in disparte in qualunque ambiente non fossero i paraggi di casa mia. Capisco lo spirito (e il “gioco di ruolo” implicito) ma conoscendo la sensibilità e la profondità della Perina so che in futuro molte cose potranno cambiare, in questo senso.
“Non sa niente di me da ragazza” era un altro discreto titolo per un libro del genere. È una battuta che appare a un tratto e rimane paurosamente impressa. “Le lupe” è un esordio barbarico, ruvido e scorretto, destinato a far parlare di sé, e degli ambienti a cui si riferisce, per diverso tempo. Nel bene, e nel male. Non mancate né l’esordio né il libro che verrà a ruota, la sensazione è che questo sia il primo passo di una nuova (terza o forse quarta) vita della prima donna direttrice di un quotidiano nazionale. Una nuova vita tutta letteraria.