«Non riesco a crederci che non avete ancora preso in considerazione il fattore umano». Il manifesto di Chesley “Sully” Sullemberg, ultimo anti-eroe preso a simbolo da quel geniaccio ribelle di Clint Eastwood, è tutto qui. Poche parole di chi vive a disagio la celebrità e a testa alta le accuse di un sistema giudiziario che ha dimenticato l’uomo e le sue potenzialità, sostituite dalla fredda analisi di simulazioni virtuali e analisi su costi e benefici.
Una storia vera
L’ultima pellicola del fustigatore della “pussy generation” è tratta da una storia vera: il titolo richiama il soprannome del pilota che riuscì a salvare la vita, nel gennaio del 2009, a 155 persone ospitate a bordo del volo Us Airways 1549, compiendo un rocambolesco ammaraggio nel fiume Hudson, dopo che entrambi i motori era andati fuori uso quando l’aereo era appena partito dall’aeroporto La Guardia di New York. Il protagonista – magistralmente interpretato da un Tom Hanks che lavora per sottrazione, restituendo la taciturna e spaesata normalità del comandante dinanzi alla celebrità – viene accolto come un eroe da quel mostro onnivoro dell’opinione pubblica, che trita e fagocita tutto tramite la martellante attenzione dei media. Un anti Schettino, che non abbandona la propria barca. Ma per la compagnia aerea e per quella assicurativa Sully avrebbe potuto e dovuto mettere in atto un atterraggio d’emergenza in uno dei due aeroporti vicini. E così parte un circo Barnum di udienze e accuse, con il pilota osannato dalla gente comune ma che rischia, in base alle simulazioni a computer elevate a guisa di perizie tecniche, non soltanto la reputazione ma anche posto e pensione.
«Nelle simulazioni avete eliminato ogni straccio di umanità dalla cabina» replica il protagonista in una delle udienze. Al di là del valore estetico di un film gradevole ma non ai livelli di capolavori come Gran Torino, Mystic River o Million dollar baby, la chiave anti-sistema di Eastwood emerge anche in questa sua ultima opera in un riflesso sacrosantemente reazionario nei confronti della tecnica. «Un ingegnere non è un pilota. Si sbagliano», afferma con semplicità Sully. Dietro, però, s’intravede l’asse portante del film: la critica alla supremazia della macchina sull’uomo, del calcolo sull’istinto, della strumento sul soggetto che dovrebbe dominarlo. Senza scomodare la Gestell di heideggeriana memoria, è un tema filosofico che assume sempre maggiore rilevanza dinanzi alla sistematica sostituzione attuata dalla tecnologia informatica, che non uccide soltanto il lavoro ma anche la capacità dell’uomo di acquisire conoscenze in situazioni limite, relegandolo invece a ingranaggio meccanico di uno strumento pratico, in cui la scelta è obbligata e l’imprevisto solo una delle variabili di un’equazione matematica.
Un’etica della responsabilità
Ma il comandante portato sul grande schermo da Eastwood ha un altro elemento che lo avvicina a quel sentire che attrae come una calamita gli irregolari al regista americano. «Non mi sento un eroe, sono solo un uomo che faceva il suo lavoro», afferma Sully. Dinanzi all’invadenza mediatica, alla fama effimera costruita sull’immediato e digerita prima di sera, il pilota interpretato da Tom Hanks contrappone la dignità del lavoro e la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere. «Non mi sento un eroe, sono solo un uomo che faceva il suo lavoro», afferma con candore, replicando all’imperante etica della commozione un’etica della responsabilità. Un uomo che non vince solo la sfida simbolica con le macchine ma anche quella con lo spirito dei tempi.