È davvero una strana campagna elettorale, quella che sta portando Roma verso le elezioni che decideranno il prossimo inquilino del Campidoglio. Più che i grandi temi relativi all’amministrazione della città, infatti, a tenere banco sono questioni laterali, di carattere più ideologico-culturale. Qualche giorno fa è stata la volta della tematica animalista, con l’Alemanno “gattaro” contrapposto al Marino “vivisettore”. Ora la polemica, stavolta fra due liste esterne ai grandi partiti, si accende su… Mazzini.
Capita infatti che gran parte dell’estrema sinistra capitolina si presenti alle elezioni sotto la bandiera della “Repubblica Romana”. Così, infatti, si chiama la lista di Sandro Medici, storico giornalista e attivista dell’ambiente della sinistra radicale romana. Il nome si rifà esplicitamente al precedente storico del 1849. Il sito ufficiale della lista si propone infatti di «riannodare oggi uno dei fili più smaglianti della storia della nostra città, quella Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi, dell’insurrezione di Ciceruacchio e dell’eroismo della brigata universitaria» in virtù del «suo portato di democrazia e universalismo».
Mazzini e Garibaldi precursori dei “ciclisti militanti” e “movimenti” vari? Secondo CasaPound Italia– anch’essa presente alle comunali romane con una propria lista – si tratta di appropriazione indebita. Sul blog casapoundroma.org, infatti, le tartarughe frecciate criticano apertamente il nesso storico: «Prendi un’aquila imperiale, l’alloro e il fascio littorio, aggiungici il tricolore e il gioco è fatto. Già solo simboli e iconografia sembrano parlar chiaro, dovrebbero essere ‘roba nostra’. O no?», si chiede retoricamente il blog di Cpi. Rintracciando, piuttosto, una linea rossa che dalla Repubblica Romana storica arriva fino alla Rsi e che – si parva licet – prosegue fino alle avanguardie non conformi di oggi.
Polemica contingente a parte, come stanno le cose da un punto di vista strettamente storiografico? Gli studiosi, negli ultimi anni, hanno fatto chiarezza su molti punti relativi all’eredità politica di tutta l’epopea risorgimentale, con annessi e connessi. Marcello Caroti ha per esempio definito Giuseppe Garibaldi «il primo fascista». Elena Pala ha invece esaminato i riferimenti garibaldini presenti nella Rsi, concludendo che, a parte il nome della celebre brigata partigiana, la Resistenza fu assai meno incline delle ultime camice nere a richiamarsi all’Eroe dei due mondi. Simon Levis Sullam ha affrontato la storia della posterità mazziniana, dichiarando che l’appropriazione “ideologica” dei fascisti era comunque più legittimata della appropriazione “simbolica” degli antifascisti. Uno dei maggiori storici del Risorgimento come Alberto Maria Banti, infine, si è chiesto – partendo esattamente da una prospettiva democratica e antifascista – se non vi sia un nesso effettivo tra camice rosse e camice nere e se l’Italia di domani non debba abbandonare ogni riferimento nazionale e risorgimentalista.
Quanto agli antifascisti storici, loro sembravano in realtà avere le idee chiare su temi come il mazzinianesimo: «Se ci richiedono dei simboli: Cattaneo invece di Gioberti, Marx invece di Mazzini» (Piero Gobetti). «Noi non siamo seguaci del Mazzini, noi non accettiamo il suo sistema» (Carlo Rosselli). «[Mazzini] non riuscì a formulare e dedurre teoricamente il concetto di libertà, e anzi teoricamente lo compromise, e quasi lo negò» (Benedetto Croce). «Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini» (Palmiro Togliatti). «[Mazzini offre] affermazioni nebulose… vuote chiacchiere» (Antonio Gramsci). La storia, a volte, è più semplice di quanto non si pensi.