Si fa presto a giochicchiare con l’anarchia, talvolta sfruttando il termine come passepartout, per veicolare subdolamente idee o posizioni d’altra natura. L’anarchismo politico, è risaputo, conserva qualcosa d’ingenuo e marginale, a maggior ragione se messo in rapporto con il cinismo dei meccanismi di potere: grandi proclami mutuati da nobile tradizione eversiva, pari ad un granello di polvere sulla bilancia del consenso (fatto che meriterebbe apprezzamento), oppure poltrona da eretico in privato salotto, per fare del solipsismo ad ufo; prevede infatti virtù rare nella natura umana, quali autoconsapevolezza, senso di responsabilità, dignità, al fine di poter consentire l’armonica sussistenza di una società, come da intenti, priva di governante. Un’utopia, insomma, vieppiù declamata da spiriti sensibili e da artisti, quale gigionesca chimera di libertà ed eguaglianza per tutti (gli altri). Al solito, facendo leva sulle ridondanti tentazioni sovversive, nel frattempo oggi dissoltesi in vuote pose giovaniliste per pecore digitali, l’elemento fondamentale – l’individuo – passa sotto l’uscio, in favore del meccanico perpetuarsi di posticipi collettivistici, sovente idealizzati. Anarchia e comunismo (all’occorrenza riesumare il termine “stalinismo” per appianare dissapori nei confronti della controparte, enucleandone la degenerazione autoritaria) non sono sinonimi difatti, ma cugini per fraintendimento, quest’ultimo accettato da ambo le parti per non dover invitare a merenda Calimero (l’altro reietto parente hegeliano: il fascismo). Attualmente, nel gregge virtuale dove tutto si confonde, si relativizza il pulviscolo d’ego proprio mentre questo si crede libero di affermare ciò che gli pare, anzi peggio: vincolando l’intemerata al gradimento algoritmico dei più. In effetti Facebook rassomiglia ad un parco giochi dell’anarchia, se solo non fosse l’esatto contrario, ovvero un lager astratto per futuri reali psicolabili. Scrivente compreso, s’intende.
Ebbene, ipotizzando la disposizione dei banchi, nelle scuole elementari dell’anarchia, avremmo in prima fila i soliti noti: Bakunin, Proudhon, Rousseau, Babeuf, More, Thoreau; mentre in fondo all’aula, o forse dietro la lavagna – ma è più probabile nei bagni a fumare – Max Stirner. Personaggio misterioso e pecora nera della sinistra, filosofo individualista ben prima che Nietzsche merlettasse il nichilismo con la volontà di potenza, Stirner rappresenta la cattiva coscienza dell’anarchismo, per certi versi accostabile a Julius Evola sul versante opposto. Sovviene giustappunto un dubbio: versante opposto? Ecco, qui la faccenda inizia a complicarsi, giacché per entrambi la collocazione consona si dovrebbe porre fuori dalle parti, tuttavia con maggiore coerenza da parte del pensatore tedesco, rispetto ai cedimenti politici del barone romano (in vita senza tessere di partito, ma pur sempre autodefinitosi conservatore). L’unico monolitico “ismo”, offerto ai posteri da Stirner, farà correre un brivido sulla schiena dei benpensanti: Egoismo. Così, grazie a questo termine che recide ogni appartenenza, il poetico gioco di specchi anarchico – quello amorevolmente stuccato nell’ultimo secolo in girotondo per eunuchi – si frantuma in mille pezzi dinnanzi all’acciaioso usbergo dell’Io. Difatti il programma “politico” contenuto ne L’unico e la sua proprietà, l’opus magnum stirneriano uscito nel 1844 e liberato dalla censura perché giudicato assurdo ed incomprensibile, si risolve ad un palmo di naso dall’individuo; tutto ciò che oltrepassa tale confine è potenzialmente nemico, ostile, nocivo, frutto di altri egoismi nulla aventi a che fare con quello del singolo. Stirner non intende cambiare in meglio lo Stato, ad esempio, nemmeno ambisce ad abbatterlo per velleità rivoluzionarie, semplicemente ne nega l’esistenza. Con preveggenza scrive: “Quando il lavoro sarà libero, lo Stato sarà finito”.
Nosce te ipsum, torna comodo in questo caso anche solo per riportare la questione al punto di partenza. Senza una profonda conoscenza interiore, com’è possibile scoprire e quindi imporre una propria volontà? Il pensiero di Max Stirner, difatti, è talmente materialista da tracimare talvolta nel suo contrario, in una sorta di metafisica del Sé, non distante da quella definita da Ernst Jünger ne Il trattato del ribelle. In effetti, dietro ai martellanti assalti a Stato, Chiesa, partiti politici e sindacati, non c’è solo il gusto per l’oltraggio al potere costituito, bensì, più sottilmente, la negazione radicale di ogni forma d’idealismo associativo. Un pensiero talmente semplice – quello riconducibile al tangibile ottenimento del proprio soddisfacimento – da lasciare interdetta ogni ipotesi di confutazione. Ripetitivo ed insistente, Stirner procede piatto come un carrarmato, abbattendo ogni possibile ostacolo: “Io rifiuto un potere conferitomi sotto la speciosa forma di diritti dell’uomo. Il mio potere è la mia proprietà, il mio potere mi dà la proprietà. Io stesso sono il mio potere… e per esso sono la mia proprietà”. A ben vedere, soppesando i confini dell’Unico, il quale si apre e si chiude con la sentenza “io ho riposto la mia causa nel nulla”, traspare un nichilismo radicale del quale approfittare come in un supermarket senza casse, laddove il mondo quale creazione altrui, foss’anche di Dio, cessa moralmente di esistere. Ordinamenti e legislazioni, convenzioni e consuetudini, tutte impalcature debilitanti, tutti ostacoli; relativizza infatti così, debordando forse inconsapevolmente nella mistica interiore: “Io dico: liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera, ossia, per parlare più chiaramente non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri: è sufficiente che tu abbatta le tue”. Se la filosofia di Nietzsche è fatta col martello, Stirner era già alla guida di un caterpillar.
That isn’t a picture of Max Stirner, but Marc Bloch.
“L’Unico e la sua proprietà” fu uno dei testi fondamentali della mia adolescenza, ancora oggi ogni tanto ne sfoglio qualche pagine per riassaporare quella verve iconoclasta e demolitrice a 360°… Come disse Carmelo Bene ” Nietzsche deve molto a Stirner, ma non lo nomina mai. Quando si dice l’ingratitudine dei filosofi”… Ho sempre pensato questo anch’io e implicitamente anche Evola si espresse in modo simile in proposito, anche lui del resto subì il fascino di Stirner nelle opere giovanili, particolarmente in quelle filosofiche ovviamente, e “l’Individuo Assoluto” del Barone ha di certo delle affinità con L’Unico stirneriano… Nell’edizione che possiedo dell’Unico(Casa Editrice: Demetra – Acquarelli ) ricordo un simpatico aneddoto in cui si parla di come Mussolini fece pubblicare l’Unico con i migliori auspici della Repubblica Sociale Italiana, si sa infatti che il Duce fu uno dei più accaniti lettori di Stirner in gioventù, dal carcere di Forlì, nel 1911, scrisse al sindacalista rivoluzionario Cesare Berti:
“Ho fatto in questi giorni delle escursioni sulle più alte Dolomiti del mondo. E queste Dolomiti del pensiero si chiamano Stirner, Nietzsche, Goethe, Schiller, Montaigne, Cervantes, etc.”, in un articolo sull’Avanti del 1914 definisce l’Unico “una costruzione assurda ma meravigliosa, anche l’assurdo può essere meraviglioso”… La formazione filosofica del Duce deve forse più a Stirner ed a Nietzsche(ed a Sorel) che a molti altri filosofi socialisti che poi sono stati accostati al suo pensiero, si potrebbe quasi dire che più che parlare di un Mussolini social-rivoluzionario, socialista etc si potrebbe parlare di un Mussolini “anarchico mancato”, e del resto “solo taluni personaggi vicini al Duce, etichettati come fascisti di sinistra, conservarono intatto e puro il sovversivismo del giovane Mussolini. Uno di questi audaci fu Berto Ricci, docente della Scuola di mistica fascista formatosi proprio sulle letture di Stirner e di Nietzsche: detestato da molti Federali, sospettato di sovversivismo dai Ministri che parlavano di andare verso il popolo, Ricci fu sempre letto e, entro certi limiti, protetto da Mussolini al quale doveva apparire la personificazione del tipo d’uomo che il fascismo avrebbe dovuto creare per adempiere davvero le proprie speranze,
come hanno ricordato Giovanni Ansaldo e Marcello Staglieno nel Dizionario degli italiani illustri e meschini.” Ricordo anche il bel ritratto fatto da Marcello Veneziani su Stirner, ritratto che evidenzia anche il suo lato oscuro ed attuale, ovvero Stirner come ” riassunto cinico della modernità non solo nei suoi esiti estremi, ma anche nel suo esito liberale, perché ne radicalizza il suo perno, l’individualismo”… Molti collegano infatti, a mio modesto avviso sbagliando e riducendone la portata, il pensiero stirneriano a certe correnti del liberalismo radicale odierno come il libertarianismo o l’anarco-capitalismo statunitense, e del resto va segnalato che lo stesso filosofo tedesco vedeva negli USA la cosa più vicina alla sua “Unione egli Egoisti” forse però ignorando “l’afflato ideale e religioso americano, il suo rigorismo etico e l’amor patrio,ma egli coglieva la radice individualista in una società non fondata su originarie appartenenze, ma su un libero e «occasionale» contratto che mira non al bene comune ma al bene di ciascuno.” Eppure io vedo nell’attuale totalitarismo liberale, con il suo ormai evidente neo-autoritarismo panoptico, l’esatto rovescio della visione stirneriana, ma non nego di aver dei dubbi in proposito immaginando a volte che forse è proprio questo il compimento estremo della sua potenza distruttiva…