Avendo scelto di limitare al massimo la frequenza in certi ambienti social, ho scoperto solo nelle ultime ore e da un bel post di Destra.it, l’ultima polemica dei fasciominkia: Giorgia Meloni avrebbe fatto nascere la sua bimba in Svizzera, “coi soldi nostri” per cui “vergogna vergogna”. Ora, lungi da me ogni difesa d’ufficio dell’ex ministro alla Gioventù, ma una scemenza così non me la ricordo da quando campo. La genesi perfetta della bufala: la bambina si chiama Ginevra, come la città svizzera e per chissà quale associazione semantico-linguistica, gruppuscoli di fasciominkia tastieruti hanno creduto che la Meloni avesse voluto donare alla figlia la possibilità di nascere nella Confederazione della cioccolata, degli orologi e delle banche d’affari. A proposito, Ginevra dicevo su “come la città svizzera”. A nessuno di loro è venuta in mente un’associazione con la moglie di Re Artù. E già questo la dice lunga.
Marco Valle e Giampiero Cannella li chiamano “nazitonti”. E li descrivono come “spazzatura tricolore”. Hanno ragione. Sissignori. Nessuna indulgenza è possibile, nessuna assoluzione, niente sconti. Perché hanno ragione da vendere se denunciano che “sul web un turbinio di “vergogna, vergogna”, e giù insulti e insinuazioni. Pettegolezzi e sciocchezze” e come ciò rappresenti “un segno dell’ulteriore imbarbarimento dell’insopportabile destra piagnona e funeraria, perdente quanto ridicola. Spezzoni di un’umanità triste e malata con cui non è più possibile e necessario alcun dialogo”. Giusto. Nessun dialogo è possibile con i disadattati con il torcicollo obbligatorio e immaginario.
Ma chi ‘a sciuoto ‘e cani? (traduzione a beneficio di chi vive al di là del Garigliano: chi li ha legittimati questi “nazitonti”, perché e come sono diventati soggetti e oggetti politici?)
La tentazione più banale sarebbe quella di dire alla signora Meloni che chi è causa del suo mal pianga se stesso. Cedervi però vorrebbe dire mettersi al livello dei cultori dell’indignazione fine a se stessa. La speranza è che lei capisca e abbandoni subito il timbro utilizzato finora per raccontare, raccontarsi e spiegarsi. Perché quelli che su Facebook condividono santini illogici ritraenti il fu Mussolini Benito magari insieme alla fu Thatcher Margaret e al fu Reagan Ronald e che perciò si autodefiniscono fascisti (per non si sa quali oscure e antitemporali ragioni) e in base a questo (e ancora qui non capisco le ragioni) dovrebbero costituire un corpo elettorale sfruttabile. Che sia un sacrificio, un onere da sopportare per raccogliere allori elettorali? Manco p’a capa. Non la votano, Giorgia. E non hanno la minima intenzione di farlo. Anzi, spesso si candidano proprio a sinistra (leggi qui).
Partiamo dalle cifre. La pagina Facebook di Giorgia Meloni ha da poco superato i 600mila seguaci. Auguri. Si presuppone che, fatta salva una forbice tra l’1% e il 10% di troll, curiosi, giornalisti e addetti ai lavori (parliamo di almeno 6mila profili!), il resto è tutto grasso che cola nelle urne elettorali. Bene, allora quali dati ci sono su scala nazionale?
Alle elezioni politiche del 2013, Fratelli d’Italia ha preso poco più di 666mila voti alla Camera e 590mila al Senato (fonte Wikipedia). Alle elezioni europee dell’anno successivo, Fdi ha raggiunto poco più di un milione di voti mancando il quorum per l’eurodeputato (fonte Repubblica). Delle due, l’una: o è solo Giorgia Meloni a portare voti al partito, oppure la base così duramente conquistata sui social non serve a un beneamato spoglio dato che nemmeno il 20% di loro riesce a convincere solo la moglie/la fidanzata/la sorella/il papà/il marito/il vicino di casa/la salumiera e via discorrendo. Insomma, un’immensa credenza ‘e piatti vacanti che non c’hanno credibilità da spendere manco col tabaccaio.
Proseguiamo con le idee. Per fare i big like (e perciò i voti secondo certe logiche) occorre utilizzare un linguaggio diretto, cattivo e rifuggire il “politicamente corretto”. Già, ma per essere anticonformisti (o meglio, non conformi come da lessico preferito dall’area), si finisce per parlare sempre delle stesse cose e sempre nella stessa maniera. Che differenza c’è tra Fratelli d’Italia e Lega Nord, per esempio? All’elettore medio – che pure invoca aiuto e lo testimonia spesso e volentieri nei commenti che rilascia sotto gli stati della pagina Fb – ogni differenza sfugge. E va a finire che, dopo aver sfondato il pollicione del like contro zingari, islamici, rumeni, Boldrini, tasse da pagare e vitalizi da abolire, non sappia più perché mettere la croce su Fdi e non su “Noi” o, addirittura, sul Movimento Cinque Stelle. A inseguire così la massa non ci si guadagna nulla e si rischia qualche figura barbina (tipo la psicopolizia contro l’Islam). Ne consegue che nell’impressione comune, la destra ha poche idee, e molto confuse. Così si finisce per non andarci proprio a votare. E non serve a niente guardare in casa d’altri tra grilli nervosi e ingessati piddì: “mal comune mezzo gaudio” non può valere se l’orizzonte è quello di governare l’Italia. O non lo è più?
Finiamo con l’atomizzazione e lo svuotamento del totem militanza. Giorgio Gaber è stato uno dei più grandi che l’Italia abbia mai avuto ma non ditelo ai nazitonti. Lui avrebbe bastonato la militanza con la misticanza e solo tanti anni dopo ne avremmo capito tutte le ragioni, noialtri. Le comunità locali – tranne poche e rarissime isole – sono sfilacciate, consunte, finite. Ci siamo lasciati tutti. Sissignori, addio. Gente che andava a farsi le stese di manifesti la notte se ne sta a casa, a riflettere, a rimuginare nel risentimento e, spesso, nell’odio. Che trasuda dai commenti, dall’autodistruttività genetica degli esuli della destra. Tutti li abbraccio, tutti li capisco, tutti si viene da lì e perciò sarebbe il caso di smetterla una volta e per tutte al giochino cretino di chi ha il secchio di colla più grosso sulle spalle, a chi è il più puro perché, alla fin fine, a Fiuggi non c’erano gli alieni.
Anche perché a furia di ascoltare oscenità e fare gare di purezza ancestrale è finita che – e fa male, malissimo -, dobbiamo vedere come a una classe dirigente in procinto di entrare in azione, con tutti i suoi dubbi, le sue incertezze soprattutto le sue inquietudini e le sue rotture di scatole, preferiscano la casalinga di Voghera la quale tra un kafféEé e un flirt con uno sconosciuto allupato trova il tempo di cliccare, condividere e commentare gli stati più cretini che si è costretti a scrivere per risultare a queste simpatiche (Salvini ne è diventato maestro, ma quanti voti ha pigliato “Noi” sui territori?).
È questo, cara Meloni (e cari tutti), il più grande cortocircuito della destra attuale. Ma come! Si è contro la distruzione dei corpi (e dei ceti) medi e bellamente deleghiamo agli algoritmi di Facebook (tecnocrazia più multinazionale) la dirigenza, la scelta dei temi e l’agenda politica che li deciderà sulla base dei big data (cioé di tutti noi peones sottoproletari iscritti al social network)? È questa l’oclocrazia da cui Polibio ci metteva in guardia. Dove comandano i nazitonti, i fasciominkia e le idee si suicidano. E si resta in panciolle auspicando il ritorno degli Eroi, finendo per costringersi a credere che un cazzaro infinito – con l’unico merito di aver avversato un impazzito come l’ex presidente Bush jr – quale è Donald Trump sia l’Uomo della Provvidenza. O almeno che lo sia del Kali Yuga, della fine dei tempi, una volta e per sempre. Amen.
Niente originalità e niente coraggio (e questo lo sa benissimo Veneziani che ci ha provato a scuotere il torpore con la sua recente Lettera) e si finisce per arrendersi ai reazionari viventi (?). Solo maleducazione e folklore, “è davvero troppo poco” – come recitava una vecchia canzone – “in cambio della libertà”. E, soprattutto, in cambio del senso di mille e mille vite.