Chi sono e che programmi propongono agli elettori i movimenti populisti o euroscettici? Il focus di Niccolò Nobile
Euroscetticismo, come ogni riduzione ideologica di una terminologia politica ad un ismo, rischia di rivelarsi una definizione priva di contenuti. Idem per populismo. Innanzitutto, il fronte euroscettico ottiene tanti successi nell’Europa del 2016, è tutt’altro che compatto nelle posizioni ed omogeneo nei fini. Gli obbiettivi di Syriza, di Die Linke o del danese Movimento Popolare contro l’UE (Folkebevægelsen mod EU) da una parte, dello UKIP, dei cechi Partito Democratico Civico (Občanská Demokratická Strana) e Partito dei Liberi Cittadini (Strana svobodných občanů), del polacco Congresso della Nuova Destra (Kongres Nowej Prawicy) o dell’austriaco Team Stronach dall’altra, sono differenti – talvolta diametralmente differenti – rispetto quelli di partiti come il Fronte Nazionale francese, la Lega Nord o il FPÖ austriaco. Ulteriori distinzioni emergono dai programmi di partiti come l’ungherese Fidesz, il polacco Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) e l’Alternative für Deutschland.
Le dissonanze
La distanza, per non dire la divergenza tra le diverse forme di, presunto, euroscetticismo, generano una rischiosa confusione che rischia di dare vita ad interpretazioni semplicistiche e superficiali. In Italia, a destra come a sinistra, ogni successo estero di partiti che fanno dell’euroscetticismo la loro bandiera viene vista come una vittoria del “virtuale” fronte sovranista in lotta per le piccole patrie e contro la burocrazia di Bruxelles. Una piattaforma comune tra questi movimenti, allo stato, non è in essere ne in formazione.
Euroscettici o eurorealisti?
Innanzitutto, cosa si cela dietro il termine euroscettico? L’ex premier ceco Václav Klaus, già presidente del Partito Democratico Civico e uno dei maggiori oppositori del Trattato di Lisbona tra i primi ministri, si discostava dalla definizione di euroscettico per abbracciare quella di eurorealista: un termine questo che andrebbe a descrivere la volontà politica di apportare cambiamenti radicali all’assetto dell’UE pur non mettendo in discussione la permanenza al suo interno. Assunto il termine coniato da Klaus, potrebbero essere definiti eurorealisti, anche se con accezione completamente diversa gli uni dagli altri, partiti come Syriza e Die Linke a sinistra, l’ODS e lo Svobodní cechi, il KNP polacco a destra, nonostante l’appartenenza di quest’ultimo al Parlamento Europeo nel Gruppo delle Nazioni e delle Libertà – del quale fanno parte il Front National, la Lega Nord e partiti classificati come populisti – invece che allo schieramento dei conservatori classici.
Le sinistre tiepidamente euroscettiche
I partiti di sinistra – o di estrema sinistra – greci, tedeschi e francesi non mettono in discussione tout court l’appartenenza all’UE, ma, al contrario, sembrerebbero voler potenziare la coesione e il sostegno reciproco su piano finanziario tra i diversi paesi. Non a caso l’unico partito tra questi che ricopre ruoli di governo è salito al potere nello stato più colpito dalla crisi economica, la Grecia, e che perciò necessità maggiormente della solidarietà dei membri dell’UE.
Gli eurorealisti di destra
Per quanto riguarda gli eurorealisti di destra, potrebbe essere svolto un discorso diametralmente opposto. Essi pure non transigono sull’adesione all’Unione Europea, ma basano le proprie posizioni sulla difesa dell’interesse dei mercati nazionali, legati ad un’economia forte come quella tedesca, nei confronti degli stati finanziariamente deboli quali la Grecia, la Spagna o l’Italia stessa. Richiedono misure ben più restrittive e fiscali di quelle avvocate da Schauble e dal governo tedesco la scorsa estate, oppure, in mancanza di queste, la formazione di due macrounioni finanziarie: l’una che comprenda i paesi finanziariamente del Nord Europa (la Germania e i suoi principali partner, Polonia, Repubblica Ceca, stati balitici; Benelux e paesi scandinavi), l’altra che riunisca gli stati mediterranei, definiti polemicamente fannulloni. V’è poi da aggiungere che gli eurorealisti di destra reputano assolutamente secondario il fattore etico (difesa di principi tradizionali, etc), il quale risulta significare tutt’al più come uno slogan elettorale per contrastare i conservatori nazionali, ad esempio in Polonia. Klaus, Petr Mach e Janusz Korwin-Mikke, formatisi sui testi della Scuola Austriaca, hanno posizioni che potrebbero essere definite serenamente libertarian o come minimo neoliberiste.
Nazionalconservatori e populisti
Se non è un caso che un paese come la Repubblica Ceca, strettamente legato alla Germania, veda la presenza in campo elettorale di ben due partiti eurorealisti, più complessi sono il caso della Polonia e quello dell’Ungheria. In Polonia, ad avere la maggioranza del consenso popolare, sono due partiti che possono essere definiti di centrodestra o di destra: Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska) e, appunto, Diritto e Giustizia. Il primo partito è un difensore intransigente dell’adesione all’UE, ma, dall’altra parte, si pone come fautore di una politica di assoluto rigore nei confronti degli stati indebitati. Il secondo, invece, nato da una costola di Solidarność, aderisce pienamente alla tradizione conservatrice nazionale, arroccandosi sulla difesa di principi etici tradizionali, dell’assistenzialismo sociale e sulla critica all’immigrazione incontrollata. Un discorso analogo potrebbe essere svolto per il partito ungherese Fidesz di OVictor Orban, nato su posizioni liberalconservatrici e spostatosi gradualmente verso il populismo di destra. Il successo di queste formazioni politiche in paesi d’oltrecortina, sottoposti per quasi mezzo secolo a regimi filo-sovietici, può stupire, ma ha cause ben definite:
1) la povertà diffusa. I partiti liberali o di centrosinistra in passato al governo non hanno saputo rispondere adeguatamente alle necessità degli strati più umili dei paesi, per quali l’immigrazione dai Balcani rappresenta un’evidente aggravante sul piano della concorrenza e dell’assistenzialismo;
2) la tendenza all’isolazionismo ereditata dal periodo sovietico;
3) l’appello a quei valori tradizionali legati al Cattolicesimo che, in Ungheria, ma ancora di più in Polonia, incarnano l’anima del paese reale; essi sono stati avversati dai governi di matrice comunista e l’UE non ha saputo accordare loro il giusto peso all’interno della federazione.
I populisti: Fn, Lega e Fpo
Nei riguardi di formazioni politiche quali la Lega Nord, snaturata rispetto i propri obbiettivi fondanti, il Front National, il FPÖ e i Democratici Svedesi, può valere la semplice dicitura di partiti populisti di destra. I tratti fondamentali sono la chiusura delle frontiere, l’identitarismo nazionale e l’anti-islamismo oltre all’attenzione alla questione della sovranità. Tuttavia mancano a questi partiti congruenza nelle alleanze – specie alla Lega – e la presenza di una cultura politica che superi le barriere dello slogan mediatico. La Fpo ha una esperienza (breve) al governo nazionale, la Lega governista lo è stata nel centrodestra vecchio stampo, mentre il FN governo piccoli comuni francesi.
Ukip e AfD
Infine, lo UKIP e l’AfD tedesca rappresentano un caso anomalo anche nella miriade tutt’altro che omogenea dei partiti euroscettici. Il primo potrebbe essere considerato nient’altro che una costola ultraliberista del Partito Conservatore britannico, allineata su quelle che furono le prese di posizione della Thatcher in merito alla questione dell’integrazione europea. Avvenuta la Brexit il partito ha perso la sua ragion d’essere: potrà rivestire ancora una funzione di testimonianza politica, ma il suo bacino elettorale è fortemente a rischio.
Il partito populista di destra AfD, che ha mietuto successo in Meclemburgo battendo la CDU, possiede una fisionomia ancora più complessa. È nato come il partito dei professori, improntato similmente a quelle formazioni, ceche e polacche, che sono state definite eurorealistiche o eurocritiche. Un partito d’élite nel senso migliore del termine. Tuttavia l’attuale dirigenza sembra orientarsi a sua volta verso il populismo anti-immigrazione. È da notarsi che i maggiori risultati ottenuti dall’AfD siano tutti concentrati nei territori che appartenevano alla DDR: si propone in questo frangente il medesimo modulo valido per i partiti conservatori nazionali in Polonia ed in Ungheria. Il rischio è che la virata populista dell’AfD porti sì il partito ad acquisire i voti di quelle masse esasperate pronte a seguire chi grida più forte, ma che si privi di ogni possibilità di partecipare ad un possibile futuro governo di coalizione con la CDU, indebolendo quest’ultima e favorendo l’SPD. E, se anche la possibilità di un governo CDU\CSU\AfD – unica verosimile possibilità per il partito euroscettico di sedersi al governo – dovesse verificarsi, i tempi di Schauble ci sembrerebbero un bel ricordo. Con conseguenze difficilmente prevedibili per Italia, Spagna e Grecia.