Il Grande Gioco mediorientale, il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, la crescente presenza internazionale della Russia, la crisi libica, gli orizzonti della politica estera dei movimenti populisti comprese le contraddizioni nel rapporto con l’islam e i musulmani in Europa: questi sono i temi affrontati nel dialogo di Barbadillo.it con lo scrittore e giornalista Marcello De Angelis.
Interpretare il quadrante mediorientale per conoscere gli orizzonti del grande gioco. Dal punto di vista italiano – inteso come interesse nazionale – chi sono gli amici e chi i nemici nella contesa siriana?
“La necessità strategica dell’Italia, in quanto vocata a essere potenza mediterranea, è ovviamente quella di un Medio e Vicino Oriente stabile e aperto alla collaborazione e agli scambi. Un Mediterraneo in guerra o in crisi è il peggior incubo per gli interessi italiani e anche europei. Il Mediterraneo è la piazza del mercato su cui affaccia la nostra casa: se diventa un campo di battaglia noi siamo fuori dai giochi e prigionieri.
Gli Usa, per ovvi interessi geopolitici dopo la caduta dell’Urss, hanno sempre teso a destabilizzare l’area che poteva dare centralità al proprio principale competitor, che è da sempre l’Europa. Per loro fortuna l’Europa gli ha sempre dato una grossa mano, grazie ad una guerra fratricida senza esclusione di colpi tra le varie potenze continentali. Detto ciò – e si sarà capito che i nostri parenti-serpenti principali sono gli europei che hanno antichi interessi in Africa e Oriente e quindi Francesi e Britannici in primis – fino al 2010 l’Italia ha gestito in modo abbastanza pragmatico i rapporti strategici ed economici nell’area del Mediterraneo. Poi è iniziata la stagione delle primavere arabe, provocata da un cambio di paradigma della politica americana dopo l’apparente perdita della leadership mondiale che aveva caratterizzato l’inizio del Millennio con l’affermazione di nuovi blocchi economici come i Bric – Cina, Russia, India, Brasile – e poi la Turchia e in generale tutti i Paesi esportatori di gas e petrolio”.
Delle primavere arabe al caos siriano…
“In Siria, per farla breve, a noi conveniva una transizione concordata che salvasse Bashar al Assad – già elemento di grande innovazione rispetto a suo padre – e non destabilizzasse ulteriormente l’area, visto che il Libano era fuori dai conflitti e per l’Iraq sembrava possibile una soluzione”.
Le stesse complesse geometrie si ritrovano in Libia?
“Peggio. La Libia era veramente il giardino di casa per noi. Con Gheddafi avevamo fatto un accordo che ci dava quasi il monopolio delle risorse energetiche, tagliando fuori Francia e Gran Bretagna, e ottenuto un impegno formale che avrebbe interrotto il flusso di disperati che venivano scaricati sulle nostre coste e che erano solo le prime raffiche di quel “bombardamento umanitario” (come lo ha giustamente chiamato Buttafuoco) che negli ultimi anni ha portato alla paralisi politico-sociale ed economica dell’intero sistema europeo. Come in Siria ed in Iraq, in Libia la Francia, gli inglesi e gli americani hanno investito su formazioni armate che si opponevano agli autocrati laici, pensando di poterle gestire. E hanno dato vita e ossigeno all’Isis e ai suoi alleati”.
Dopo la morte del Raìs, il caos si è moltiplicato. Con effetti sull’Italia e i suoi confini.
“L’uccisione di Gheddafi, la seconda guerra contro Saddam e la sua impiccagione, come la progressiva destabilizzazione della Turchia di Erdogan fino all’ultimo tentativo di Golpe, sono state essenzialmente azioni contro gli interessi dell’Italia, diventato un pericoloso attore autonomo. A questo si aggiunge la nuova “guerra fredda” contro Putin, con il quale avevamo fatto accordi immensamente vantaggiosi sui gasdotti che avrebbero rifornito l’Europa. Chi ha voluto trascinarci nella guerra contro Gheddafi era un agente dei nemici dell’Italia”.
A Tripoli i danni sono venuti proprio dagli alleati occidentalisti dell’Italia. Era inevitabile?
“Era evitabile. Ma intanto le forze anti-italiane si erano coalizzate per far saltare chi in quel momento garantiva gli interessi italiani, e cioè Berlusconi. Che, purtroppo, bisogna dirlo, gli ha anche dato una grossa mano nel liquidare se stesso. Le centrali dell’informazione occidentale – forse qualcuno se lo ricorda – raccontarono le dimissioni di Berlusconi come una copia dell’abbattimento di Mubarak in Egitto (ricordando anche la vicenda della sedicente “nipote”…) paragonando la “liberazione” dell’Italia alle primavere arabe”.
Anche La Stampa, con un editoriale del direttore Maurizio Molinari, riconosce il ruolo interventista di Putin. Il mondo è ormai diventato multipolare?
“Il mondo è multipolare dall’inizio del Millennio, il primo a codificare il nuovo assetto mondiale fu Samuel Huntington con il suo Clash of civilizations, che rispondeva all’assurda previsione della “fine della storia” di Frances Fukuyama. E i primi a rendersene conto sono stati gli Usa, che non si sono fermati dinanzi a nulla pur di riaffermare la loro leadership. Grazie alle nuove tecnologie estrattive sono passati da primo importatore di gas e petrolio a primo esportatore mondiale (cambiando in pochi giorni le leggi degli anni 70 che vietavano l’esportazione) e per far questo hanno paralizzato tutte le aree produttrici di idrocarburi: Medio-Oriente, Russia e suoi satelliti, Venezuela e Turchia…”.
Quanta visione eurasista c’è dietro la proiezione globale della Russia?
“La Turchia di Erdogan – la prima vera fase democratica e di grande sviluppo economico di quel Paese, andrebbe ricordato, dopo la stagione dell’incubo delle dittature militari – si è prima rivolta ad una vocazione europeista; quando, dopo anni di frustranti verifiche, si è resa conto che la strada sarebbe rimasta chiusa, si è rivolta verso Est, con accordi con il Qatar e le altre potenze sunnite. Nel frattempo la Russia ha rischiato una guerra con la Turchia quando, intervenuta in Siria, si è vista abbattere un jet dall’aviazione turca. Poi c’è stato il tentativo di Golpe. Erdogan ha chiesto aiuto agli amici europei che non hanno nemmeno risposto a telefono e il pilota golpista che ha bombardato il Parlamento turco è risultato essere lo stesso che aveva abbattuto il jet russo portando i due Paesi sull’orlo di una guerra… Anche Putin ha tentato in tutti i modi di trovare una saldatura con l’Ue. Ma gli americani hanno spinto sulla Merkel per allargare ad Est l’unione, inglobando Paesi che prima erano sotto il controllo russo nella Nato e hanno creato un cordone sanitario di nazioni filo-americane tra la Germania e la Russia, mettendo sotto tutela il flusso del gas verso occidente”.
Non bisogna dimenticare la crisi in Ucraina.
“Certo. La destabilizzazione dell’Ucraina doveva essere il colpo mortale alla sopravvivenza russa, con lo scippo dei due porti di Odessa e Sebastopoli, senza i quali la Russia sarebbe commercialmente isolata. Putin aveva due scelte: o reagire o condannare la Russia a una morte lenta ma inesorabile. Va ricordato – en passant – che l’unico altro sbocco marittimo, nel Mediterraneo, i russi ce l’avevano con una base in Siria. Quando gli occidentali hanno pronunciato la condanna a morte per Assad, Putin ha chiesto alle opposizioni siriane rifugiate a Londra la garanzia del mantenimento della base navale. Loro gli hanno risposto che avrebbero deciso in proposito dopo l’eliminazione di Assad. Quindi Putin, saggiamente, ha deciso che fosse più prudente salvare chi già gli dava garanzie. Quindi, per farla semplice, l’Occidente non ha lasciato alternativa né a Putin, né a Erdogan. L’Italia cinque anni fa era il partner privilegiato di entrambi, ora, nuovamente sotto il tallone americano, siamo fuori dai giochi”.
Il crescente consenso dei movimenti populisti non ha per ora una declinazione e un orizzonte in politica estera, ma di fatto costringe a correzioni di rotta l’establishment europeo. Con che risultati?
“Il Front national e mi sembra anche la Lega non disdegnano l’amicizia di Putin e hanno una posizione molto chiara sulla Siria. Ovviamente hanno problemi ad assumere una posizione che sia coerente con l’indicazione dell’Islam come Male assoluto, perché tutte le partite geopolitiche in corso sono anche conflitti interni al mondo islamico e quindi non si può prescindere da alleanze forti con alcune potenze musulmane. Putin su questo piano è molto lucido e pragmatico e già era alleato dell’Iran. Ovviamente non si può fare la guerra delle parole per conto degli americani e allo stesso tempo essere alleati di tutti quelli che gli Usa hanno tentato di eliminare negli ultimi 10 anni”.
Islamofobia, polemica sui burkini e sulla costruzione di moschee, integrazione/assimilazione tra islam e occidente. L’accentuare l’alterità di chi professa religione islamica che effetti potrebbe avere nelle città europee e nella convivenza pacifica tra i popoli del Mediterraneo?
“La querelle sui burkini è surreale. Non è perché cento donne si mettono una tuta da sub che, per l’ennesima volta, l’Europa si trova vittima e ostaggio di un terrorismo evidentemente eterodiretto e generato da giochi sporchi altrui. E, paradossalmente, l’attacco più letale all’Italia e all’Europa non sono i nichilisti islamizzati su Internet ma il “bombardamento umanitario” (cito di nuovo Buttafuoco) che scarica centinaia di migliaia di sbandati che rappresenteranno un problema socio-economico e politico irrisolvibile per i governi europei per almeno un decennio. Tra due anni l’Isis sarà storia, come le Br e la banda Baader-Meinhof”.
Resta il nodo irrisolto per gli europei e in particolare per l’Italia del rapporto con l’islam e i musulmani (compresi quelli già nel nostro continente).
“Nel mondo ci saranno ancora un miliardo e mezzo di musulmani di cui quasi venti milioni in Europa, molti dei quali europei da sempre, come i bosniaci e gli albanesi, altri nati e vissuti in Europa tutta la vita (senza calcolare il crescente numero di famiglie miste). Chi invoca uno scontro all’ultimo sangue, casa per casa, con questa moltitudine, a mio avviso non si rende conto di cosa sta dicendo. L’Italia, fisicamente collocata al centro del Mediterraneo, può essere o la punta avanzata della collaborazione con la sponda Sud e cioè col mondo islamico, o la prima linea di una guerra comunque decisa e gestita al di là dell’Atlantico. Se penso al futuro dei miei figli preferirei essere una Nazione forte e indipendente che, come in epoche passate, gestisce un rapporto sereno con i Paesi che si trovano a Sud a proprio vantaggio politico, strategico e commerciale, piuttosto che diventare l’arena di un massacro quotidiano con il Presidente Usa di turno seduto al posto di Cesare a decidere del nostro destino alzando o abbassando il pollice. Certo, i musulmani europei vanno messi davanti ad una scelta di lealtà nei confronti delle nazioni di cui sono cittadini, ma tra i musulmani e i senza Patria e senza Dio mi fanno più paura questi ultimi“.