Esistono libri che non sono semplici volumi ma organismi viventi. Vivono, chiamano, respirano e fanno respirare. Invitano non solo alla lettura, all’erudizione o al divertimento, bensì a cambiar vita, trasformarla. Sono doni rari. E di questi doni è capace Geminello Alvi. Ne abbiamo ulteriore, definitiva conferma con La confederazione italiana (Marsilio, pag. 383, euro 22), diario cominciato in Russia e concluso nelle sue Marche e proposta non modesta di rigenerazione, rinascimento e risorgimento del nostro paese. Tutte le controversie sui destini della patria, su governi di larghe o strette intese, sulle pigre soluzioni della nostra crisi economica, culturale e morale si rivelano ben meschine se messe al confronto con il pensiero di Alvi. Che con il suo tipico stile enciclopedico, aforistico e biografico ci offre un quadro preciso di quanto il momento sia grave. Al punto che in Italia le persone per bene sono costrette a proclamarsi anarchiche, strette fra “comunisti falliti e volentieri snobisti”, “cretini in tortura del prossimo”, “politicastri in finzione di rissa”. Non solo il protagonista del “pervertirsi animico-televisivo” e nelle classifiche dei libri più letti è “l’asintattico Saviano”, ma ancora si celebra la Liberazione del ’45, mito che ha richiesto “non l’onore reso al nemico, ma odio continuato al quale educare i giovani in epica infima”. In politica ancora si spendono i nomi di Berlusconi (“punto di equilibro perfetto tra Alberto Sordi e Mike Bongiorno”), Napolitano (“eroe dell’Ungheria socialista, complice dei sovietici”) e Prodi che con il “genio mascellare” ci impose la “follia dell’euro, commedia evoluta a tragedia, a macchina d’impoverimento”.
Le novità politiche non sono più rassicuranti: “magistrati impazziti” e grillismo, ennesimo “episodio delle rivolte arabe”, come quelle “ben usato dalle aristocrazie venali degli anglofoni”. Siamo ripiombati in nuovo Medioevo di “oligarchi in lotta” ed invasioni africane, in “secoli bui” con guerra civile, sempre covata in Italia, pronta ad esplodere. La repubblica italiana è quindi “un catorcio putrefatto”, una grottesca “indegnità che va terminata”. Prendendo atto che “l’Italia unita è finita, pure se a Roma se ne continua la recita” e “il caos pensa per noi”, occorre pensare a qualcos’altro. Ed ecco affiorare la pars construens del libro, amalgamata con quella distruttiva, suggerita dal viaggio iniziatico fra i pianeti del sistema solare e i regni della natura.
Alvi scrive allora dell’Italia “come è in cielo. Perché è fuori del corpo che si fa il corpo”. Per rigenerare la nostra patria occorre una “percezione dell’umano che sia alta”, “celeste, come le stelle”. Serve il libro dell’Apocalisse, fondante ma “eluso dall’inciviltà presente”. Tanti sono i nomi, anzi numi, che Alvi interroga ed invoca per costruire una nuova Italia confederata: Dante, Brunetto Latini, Collodi, Mazzini e Garibaldi (“esistenze che ebbero la dignità superiore di un rito”), Gioacchino da Fiore (suo il disegno dell’albero dell’umanità dai rami tricolore in copertina al volume), Vincenzo Cuoco, Machiavelli, D’Annunzio. Ma gli ispiratori più sentiti, ben noti a chi ha letto le sue opere precedenti, mai però presenti in spirito come in quest’ ultima, sono Rudolf Steiner ed Adriano Olivetti. Grazie al loro insegnamento è possibile immaginare la Confederazione “tripartita”, libera unione di municipi italici che devono abbandonare la Repubblica. La “tripartizione” trasforma in realtà il motto rivoluzionario “Libertà Uguaglianza Fratellanza” mai compreso pienamente dalla modernità. Come suggerisce l’antichità indoeuropea e come rammentò Steiner, le tre parole vanno intese per tre domini distinti: libertà nel mondo dello spirito, della cultura (religione, istruzione, scienza, arte), uguaglianza nel diritto e fratellanza nella vita economica. Ogni confusione è malsana.
Dunque, lo stato “minimissimo” della Confederazione deve garantire l’uguaglianza dei cittadini, ma non immischiarsi nell’economia e nella cultura. Quest’ultima deve riscoprire le virtù rinascimentali, le radici pagane dell’Italia e sposarle ad un “cristianesimo senza preti” (secondo Alvi, il papato “col papa tedesco inizia il suo ultimo giro”, e sarà significativo che il successore Francesco si sia presentato dopo l’elezione come “vescovo di Roma”). Venerabili rimangono però le Madonne, “amate per istinto in confusione di divinità egizie, sofianiche, pitagoriche o fate turchine. Sono la mamma e nostra salute, la santa Iside Sophia”. L’ordine economico, fraterno e non competitivo, rifiuterà il “capitale fittizio” della finanza ed avrà non una sola moneta ma tre (d’investimento, di scambio, di dono). Poiché Alvi, ispirato come il D’Annunzio fiumano, scrive anche gli articoli costituenti la Confederazione, ci sembra tutto molto serio, “da covarsi nel cuore dei pochi, e nutrirsi di vivo pensiero, sacrificio e amore”. Certo, ammette che la Confederazione forse “conterrebbe me solo”, ma noi tanto solo non lo lasceremmo.