“Anche i morti, anche i delitti hanno la loro fortuna.
Un innamorato si vendica sopra l’infedele, un marito sgozza l’amante della moglie. Il fatto tocca e scuote le più riposte fibre dell’animo del pubblico e dei suoi informatori. I cronisti si fanno per l’occasione romanzieri, giudici, difensori, esploratori di anime: la più sciocca figura di donna isterica è una sfinge di cui bisogna rivelare gli inesistenti enigmi psicologici, ogni brutale è un eroe che difende i diritti del sentimento” (Antonio Gramsci)
Quasi un secolo fa un grande torinese acquisito scriveva, in veste di giornalista, questo atto d’accusa verso certa “nera” da rotocalco che si potrebbe replicare ai nostri giorni, tal quale.
Eppure sbaglierebbe chi volesse ridurre tutto un filone a voyeurismo morboso da tv del pomeriggio. Nell’ambiente dei quotidiani si dice che la cronaca è la palestra del giornalismo. Vi ci sono esercitati, del resto, non solo le migliori penne della stampa ma anche molti dei più straordinari uomini di lettere, facendosi all’occasione – e con alterne fortune – «romanzieri, giudici, difensori, esploratori d’anime».
Gramsci, a suo modo, fu uno di questi. Esponente di un giornalismo letterario ormai scomparso e di una delle tante Torino che non esistono più: quella di inizio Novecento, così lontana e così simile nelle aspirazioni alla metropoli post-olimpica.
Proprio a Torino, su La Stampa del lunedì, è nata una rubrica online pensata per riportare alla luce uno a uno gli episodi che hanno fatto la storia della cronaca torinese (e la cronaca della Storia, non solo torinese). Si chiama Torino Retrò e la cura Federico Callegaro, giovane cronista dei quartieri – nonché firma di Barbadillo.it – dalla spiccata vena cinematografica, fra Tarantino e il poliziottesco italiano.
Anche a questo si deve il ritmo spietato e incalzante di Torino Retrò, angolo di “giornalismo di genere” dove i ritagli di cronaca evocano storie ancora vive, da qualche parte, tra le increspature di una città: un condominio anonimo nel quartiere Santa Rita cela il covo dove i sette uomini d’oro di Albert Bergamelli progettarono per giorni la rapina del secolo, l’audace colpo del clan dei Marsigliesi. Al poligono delle Basse di Stura risuona nella nebbia il crepitio dei fucili che all’alba del 4 marzo 1947 eseguirono l’ultima condanna a morte nell’Italia già democratica, atto finale del grand guignol alla cascina Simonetta di Villarbasse.
Torino non ha fasti criminali barocchi da annoverare tra le suburre e le gomorre, ma la sua anima nera si cela a malapena dietro a una maschera di alterigia sabauda. Nella città che ha conosciuto le più impressionanti strutture di controllo sociale, i panopticon del Cottolengo, del manicomio di Collegno, delle linee industriali a Mirafiori e Lingotto, una corrente carsica di violenza pare pronta a esplodere ogni volta che trova sfogo in superficie.
Lunga è la storia dell’odio politico, il filo di fumo che corre dalle pistole della banda Cavallero a quelle dei brigatisti fino alle lingue di fuoco del bar Angelo Azzurro, nel salotto buono di via Po, dove uno studente capitato nel posto sbagliato brucia come un bonzo tibetano. E perfino lo sport pare dar credito alle tante speculazioni esoteriche da Baedeker, affratellando le due squadre cittadine in una leggenda nera che avvolge la tragedia del Fato di Superga e il dramma della follia umana all’Heysel.
Forse non per caso Torino sta (ri)scoprendo la sua vena oscura e orrorifica, anche nella narrativa: succede con Italica Noir, raccolta di indagini storiche “dal 900’ italiano in burrasca” da poco data alle stampe da Federico Mosso. O con il collettivo Torinoir capitanato da Giorgio Ballario, il quale è tornato in libreria con l’avvincente e consigliatissima biografia del bandito gentiluomo Albert Spaggiari. Due anni fa il progetto Torinoir si presentò con l’intento provocatorio di “uccidere Fruttero & Lucentini”, quasi un’eco del marinettiano “uccidere il chiaro di luna”: dimenticatevi la solita Torino letteraria, la donna della domenica e il commissario Santamaria.
Si può dire che Torino Retrò segua, su un versante storico, la stessa linea. Ripercorrere i passi della cronaca può servire anche a far piazza pulita di molti cliché e delle vanaglorie di una narrazione giornalistica sulla città “rinata” – dove tuttavia centro e periferie viaggiano a due velocità ben più che altrove, e dove i colpi di maglio della recessione scuotono le ambizioni della ex Detroit d’Italia di farsi capitale del turismo d’arte e tempio di gastrofighetteria. Là fuori c’è una città da raccontare, anche – anzi soprattutto – quando mostra il suo volto più sporco e cattivo.