Il centrodestra vive, o meglio sopravvive. A Roma Giorgia Meloni ha raccolto un buon risultato con la politica dell’ascolto, mentre Fratelli d’Italia ha avuto difficoltà in tutte le altre metropoli. La Lega? Si è rafforzata nelle zone storiche, non ha sfondato al Sud. Ora però ci vuole un progetto “inclusivo”. Queste le coordinate dell’analisi di Marco Valle, scrittore e giornalista, coordinatore di Destra.it. Nella conversazione con Barbadillo.it sono stati toccati anche temi come il futuro di CasaPound, il modello del candidato manager Parisi a Milano e di come consolidare un consenso politico presente nell’area sovranista, con un orizzonte di possibile governo.
Chiuse le urne del primo turno, è possibile tracciare un bilancio del risultato del centrodestra?
“Vi è un primo dato importante. Al netto dell’astensionismo e dei richiami renziani, “grillini” o municipalisti, il popolo del centrodestra non si è estinto. Ovunque vive, partecipa e, nonostante i partiti di riferimento, talvolta vince. Tante belle sorprese che, da Trieste, Pordenone a Novara e poi al Sud, imbarazzano non poco i commentatori e gli analisti. Si tratta, però, di episodi legati a situazioni locali. Manca ancora, drammaticamente, un disegno e un modello complessivo convincente e credibile. Poi vi è il laboratorio del centrodestra milanese, un’esperienza parzialmente innovativa e trasversale da seguire con attenzione e cautela”.
Il risultato di Lega e Fratelli d’Italia va letto territorialmente: Roma, Sud e Nord. E’ d’accordo?
“Si tratta di due storie diverse. Per quanto riguarda la Lega i risultati erano ampiamente prevedibili: un rafforzamento nelle zone “storiche”, un modesto avanzamento a Milano, la città di Matteo Salvini, e qualche successo sotto il Po. Un buon risultato complessivo ma non lo “sfondamento” annunciato. Il leghismo si conferma un attore in buona salute ma non di certo un protagonista nazionale. Sono i limiti strutturali e insuperabili della Lega. Salvini, con buona pace degli amici che speravano nei “barbari del Nord” e altre fantasticherie fascio-leghiste, molto oltre non va. Non può andare”.
I postfascisti di Fratelli d’Italia?
“FdI è tutta un’altra vicenda. La bella affermazione di Giorgia Meloni a Roma è certamente importante, ma non può celare i gravi ritardi del suo partito. Lo sa per prima Giorgia. Oggi questa coraggiosa donna potrebbe volare alto, ma rimane appesantita dalla modestia del personale politico che l’attornia, dalla povertà programmatica e culturale di FdI e dai pessimi risultati elettorali nelle metropoli che oscurano i buoni risultati della provincia. Da qui la fragilità, da Nord a Sud, della proposta del partito”.
Nelle metropoli risalta, ad eccezione del risultato rilevante di FdI nella capitale, la difficoltà di articolare una proposta politica di governo sovranista. Il raccolto elettorale appare modesto.
“Siamo seri, di sovranista e di innovativo non vi è nulla. Solo slogan o battute. A destra, negli ultimi anni non vi è mai stata una riflessione seria, un convegno, un libro, un incontro non banale sul tema. I fallimenti di Officina, Terra Nostra e dell’esperienza tentata lo scorso ad Atreju lo confermano. Un progetto serio non s’improvvisa, ma si costruisce attraverso riflessioni e confronti con le intelligenze vive, investimenti sulle iniziative culturali, contatti trasversali e, magari, rispondendo ogni tanto al telefono”.
L’eccezione è Roma dove il fronte Fdi-Lega con la Meloni ha superato il 20%, senza FI.
“A Roma, la Meloni ha avuto la capacità di ovviare con la sua forte personalità il problema. Conscia del vuoto programmatico di FdI, ha imperniato il suo discorso sui gravi e urgenti problemi della capitale. Ha fatto bene. Agli elettori romani di destra, sballottati tra Marchini e Bertolaso, Storace, Alemanno e Fini, importavano solo risposte solide, magari minimali ma serie. La Meloni ha avuto l’intelligenza di ascoltarli e la forza di elaborare, strada facendo, un programma credibile per una capitale al collasso”.
Altrove…
“Altra è l’analisi per le metropoli — Milano, Torino, Napoli — dove FdI non a caso tracolla. A differenza delle realtà medio-piccole, dove, talvolta, qualche quadro intelligente e preparato (e ve ne sono tanti…) riesce a colmare in qualche modo le mancanze di una insufficiente proposta nazionale, nelle grandi città la sfida è ben più pesante. La complessità metropolitana impone oggi a tutte le forze politiche una narrazione originale e una cultura di governo innovativa, foriera di idee originali e pensieri lunghi, e una capacità di interlocuzione con i blocchi sociali dinamici”.
Sono stati scelti temi e argomenti deboli?
“Sfortunatamente nelle grandi città italiane, FdI ha preferito presentare il solito spettacolino di tricolori, islamofobia spicciola e altri riti consunti, affidando la gestione del teatrino elettorale ai soliti vecchi cammelli della politica, gente usurata, ancora fossilizzata nelle polemiche vetero-missine. I numeri (solidi, freddi e crudeli) hanno dimostrato che la destra pittoresca e funeraria non interessa più a nessuno. Nemmeno ai grappoli di disperazione urbana”.
Il risultato delle liste degli ex colonnelli di An nella Capitale?
“Inutile maramaldeggiare sui defunti. Non è elegante. L’esperienza di AN è malamente finita e i protagonisti — compreso l’infallibile che ha fallito — farebbero meglio a pensare ad altro. Che fare? Viaggiare, scalare montagne, immergersi in mari lontani, raccontare fiabe ai nipoti. Le pensioni sono ricche e nessuno di loro morirà di stenti. Tanti auguri e nessun rancore”.
CasaPound raddoppia i voti.
“Bene. Simone Di Stefano a Roma è stato convincente e la Meloni dovrebbe prenderne atto. Ma è arrivato il momento per questa interessante esperienza comunitaria di assumere una dimensione politica piena e superare la fase giovanilista: Bolzano e Ostia sono solo degli episodi fortunati e il cammino è ben più lungo e arduo. Spero che i quadri di CPI sappiamo comprendere il momento e decidere di costruire nel tempo un percorso realmente innovativo, evitando tentazioni marginaliste e i richiami della destra funeraria. Chi decide e pensa in via Napoleone III conosce bene l’ammonimento di Ernst Junger: dagli dei sepolti non giunge salvezza…”.
Stefano Parisi andrà al ballottaggio con una alleanza larga a Milano. Che modello può essere rappresentato dal candidato-manager del centrodestra meneghino?
“Da elettore milanese ho osservato con attenzione il candidato Parisi. L’uomo non mi appassiona ma mi interessa. Dopo averlo incontrato, debbo ammettere che il personaggio ha compreso la vocazione vera di Milano: la contemporaneità. Mi spiego. Essere contemporanei significa qualcosa di più di vivere la propria attualità: vuol dire averla preparata quando non c’era ancora nulla di concreto, di reale. La contemporaneità rimanda paradossalmente a un “non ancora” da realizzare, ma già pensato nelle sue effettive possibilità di renderlo attuale, cioè contemporaneo. Milano — come Barcellona, Monaco e Francoforte — è da sempre contemporanea. Parisi, a differenza di Sala, lo ha compreso e sa bene — anche su suggerimento di Gabriele Albertini e del think tank informale promosso da Zecchi, Lodovico Festa e Carlo De Albertis — che dovrà governare una “smart city”, una città complessa dalle dimensioni plurali e globali, basandosi su una condivisione degli interessi e delle pratiche sociali, oltre che istituzionali. Non basta consegnare in alto piani e progetti — fu l’errore della Moratti —, occorre capire quanto socialmente siano condivisi.
Con Parisi sindaco potrebbero esservi delle sorprese positive. Peccato che manchino a destra degli interlocutori politici all’altezza del confronto. Mentre il candidato incontrava i vertici industriali meneghini per discutere di sharing economy, gli ex deputati destrorsi, attorniati da uno scarno manipolo di fedelissimi, sventolavano in Galleria tricolori e, come Totò e Peppino, litigavano con i vigili (forse scambiandoli per gendarmi austriaci). Imbarazzante”.
Quali le prossime responsabilità di Meloni e Salvini per rifondare una coalizione con ambizioni di vittoria e di governo?
“Prima di pensare ad un’ipotetica coalizione per governare una potenza industriale acciaccata ma ancora vitale come è l’Italia, Meloni e Salvini dovrebbero uscire dalla dimensione protestataria e impegnarsi a costruire finalmente un progetto serio, inclusivo e credibile per la Nazione. Ascoltando e confrontandosi con le intelligenze e, magari, pensionando fossili e fossilizzati. Nel frattempo, qualcuno avverta i due che le ruspe non servono e che i marò sono tornati a casa…”.