Quelli che si autoproclamano cattolici di destra dovrebbero guardarsi con attenzione il nuovo film di Carlo Verdone “Posti in piedi in paradiso”. Forse, nella pellicola, c’è molto di più di quanto i profeti e le agenzie di valori oggi riescano a comunicare.
Ad esempio, il regista ha la forza di parlare di Paradiso con una levità disarmante. Ha capito che, per trattare un tema così alto, non servono sermoni moraleggianti e prediche edificanti alla Celentano. Bastano le storie, le rappresentazioni, le parabole moderne.
E poi Verdone, sulla scia di Dante e Dostoevskij, ha intuito che, per descrivere il Paradiso, occorre prima rappresentare l’inferno, il nostro piccolo inferno, fatto di miserie quotidiane, di divorzi e fallimenti, di delusioni e tradimenti. La vita, insomma. Senza svolazzi teologici o ardite interpretazioni. Anzi, sempre sul filo sottile dell’ironia: perché Paradiso fa rima con sorriso.
Il regista è come un padre, burbero e benefico, incazzato e comprensivo nei confronti dei suoi personaggi. Che, infatti, non sono mica dei santi o degli eroi. Anzi, trasgrediscono almeno un precetto su due dei dieci comandamenti. Truffano, rubano, fornicano, dicono bugie e pure parolacce. Ma, dietro la loro miseria, vediamo la nostra miseria, di spettatori e di uomini; e la nostra piccolezza, in una comunanza di destini, ce li rende più simpatici e ci permette di assolverli. Dopo tutto, un po’ siamo come loro. Per risultare efficaci e convincenti insomma – ed è questo l’insegnamento che la Chiesa e la politica dovrebbero capire per bene – è ora di smetterla con battaglie cupe e atteggiamenti seriosi. Ci vuole la leggerezza, quella che si addice alle cose alte.
Con la stessa arma Verdone riesce infatti a parlare di vita e famiglia, due temi enormi, che di solito sembrano appannaggio di pochi tradizionalisti sfigati e di qualche integralista della fede, incapace di comprendere le evoluzioni dell’uomo e del mondo. Il regista invece li prende di petto, ne fa argomento per tutti. Ne mostra le contraddizioni, i paradossi. Ma, a differenza di un certo cinema impegnato che quasi si compiace nel dimostrare che la famiglia è finita – andate in guerra, Verdone offre una risposta priva di cinismo. Pur nello sfascio, nel disastro dei rapporti coniugali e tra generazioni, c’è sempre una chiave di uscita, un barlume di luce. Se i figli non guardano più ai padri come un’autorità, i padri possono almeno guardare ai figli come alla loro opportunità tardiva, al loro riscatto: per capire che non tutto è perduto e che nel deserto cresce pure ciò che salva.
Così la vita ricomincia. E lo fa nel grembo di una ragazza giovanissima, non ancora pronta a diventare madre. Si sarebbe tentati di dire “quella vita è un errore”, ma poi la si accoglie come un privilegio. Il dono, oltre l’abbandono. Lo stesso vale per il Paradiso. Forse – scrive Favino in un passaggio stupendo del film – ci ritroveremo tutti in Paradiso, ma siccome siamo tanti, ci toccherà restare in piedi. Come in una sala cinematografica affollata: il nuovo cinema Paradiso.
Allora, in tempi di disperazione, questo film ha il pregio raro di farti uscire all’aria aperta sollevato perché suona come un invito a non rinunciare alla fiducia, anche se attorno tutto crolla. Il colore della speranza non è più verde, ma Verdone.