Dimenticatevi la lotta di classe, i capitalisti e i lavoratori, il padronato e gli operai… Dimenticate anche le liste di collocamento e i sindacati, le riforme del lavoro in stile Jobs Act e il feticcio delle privatizzazioni.
Mettete, al loro posto, una burocrazia del Welfare imbevuta di circolari e curricula on line, di impiegati-funzionari allevati nel culto dell’impersonalità, di pratiche, di file e di sanzioni, per chi disattende, magari senza saperlo, le regole, di spersonalizzazione nelle domande come nelle risposte. Aggiungeteci l’età, l’abitudine al contatto umano negata nel nome dell’efficienza e della velocizzazione informatica, la difficoltà a uscire da una routine lavorativa per andare incontro a un nuovo indefinito, l’umiliazione a non sentirsi al passo con i tempi, l’umiliazione perché nessuno ti dà il tempo e il modo di metterti al passo con i tempi… Bene, mischiate tutto questo e avrete il nuovo film di Ken Loach, I, Daniel Blake, ieri in concorso e super applaudito. «Spero che questo film vi spezzi il cuore e vi riempia di rabbia», ha esordito il regista presentando il film.
Daniel è un falegname cinquantanovenne. Gli è morta da poco la moglie, a lungo malata, e per assisterla ha intaccato i suoi risparmi, un infarto ha peggiorato il tutto: non può ancora andare in pensione, non ha l’età, ma si vede rifiutare quella di invalidità che pure la sua cartella clinica attesta. Può fare ricorso, certo, ma en attendant che venga preso in considerazione, l’assistenza sociale lo obbliga a cercarsi un lavoro (in cambio del sussidio di disoccupazione) che però poi non potrebbe svolgere… Lì dove basterebbe semplicemente del buon senso, si erge invece il muro di un sistema in cui l’individuo è ridotto a numero, le specificità sono azzerare, il rispetto dell’altro inesistente. Mentre cerca di dare un senso all’insensatezza che d’improvviso si è impadronita della sua vita, Daniel incontra una giovane madre, sola e con due figli, Rachel, a cui è stato assegnato un alloggio popolare a 500 chilometri di distanza e sospeso per un mese il sussidio perché arrivata in ritardo all’ufficio di collocamento. Due solitudini non fanno una moltitudine, e per quanto si alleino, la battaglia resta impari.
Cinquant’anni dopo Cathy torna a casa, Ken Loach, già Palma d’oro a Cannes nel 2006 con Il vento accarezza l’erba, racconta due vite profondamente segnate dalla crisi economica. «Ciò che mi sorprende dice – è quanto oggi la situazione sia più crudele di allora, un vero e proprio disastro. Se un tempo la povertà era una condizione, adesso è divenuta una colpa e sono i poveri a essere ritenuti responsabili del loro status. In realtà, la colpa dovrebbe essere sia del sistema sia delle persone… Ma siccome nessuno vuole cambiare il primo, bisogna allora caricare tutto sulle seconde».
Asciutto, commovente, I, Daniel Blake ha una componente satirica che gli impedisce di naufragare nel sentimentalismo. «La generazione di Daniel è quella di chi è stato tutta una vita un operaio qualificato, incapace perciò di passare da un lavoro a un altro, scombussolato all’idea di dipendere per il suo sostentamento da un sistema con il quale non è in grado di relazionare. È un sistema impenetrabile, che schiaccia gli individui, e che del resto non è lì per aiutarli, ma caso mai per penalizzarli. Fingiamo che ci sia lavoro e che basti cercarlo, ma non è vero. E’ come il mito di Sisifo, un sforzo inutile».
«Sono un cittadino, non sono un cane. Non chiedo nulla, soltanto rispetto», dice Daniel quando il suo ricorso per l’invalidità sta per essere finalmente discusso. «E il film è incentrato proprio su questo sottolinea Ken Loach -: da un lato la vergogna che prova un uomo onesto, che ha sempre lavorato, che non ha mai chiesto nulla e che si trova a essere considerato un paria. E dall’altro, la povertà, e quindi la fame, usati come mezzi di pressione per obbligare la gente al precariato, ai salari minimi, al silenzio per paura. Un ricatto brutale, indegno di un Paese civile».
Sceneggiato come al solito da Paul Laverty, con Dave Johns, un attore comico inglese nella parte del protagonista, e Hayley Squires in quella della giovane Rachel, I, Daniel Blake è anche una riflessione su come oggi il Welfare venga percepito nel Regno Unito e non solo. «Secondo i sondaggi, la maggioranza degli intervistati pensa che il 30 per cento degli assegni di disoccupazione vada a chi non li merita. In realtà, i dati ufficiali indicano una cifra di appena lo 0,7 per cento… Inoltre, il governo britannico destina solo il 3 per cento del suo bilancio agli aiuti sociali, mentre più del 40 per cento se ne va per le pensioni. Si alimenta il rancore di una guerra fra poveri e lo si fa scientificamente, perché la fame, si sa, doma l’animale più selvaggio». (da Il Giornale)