L’ultimo turno infrasettimanale della Serie A ha due immagini in copertina: la Juve che s’avvicina a pareggiare il filotto di cinque scudetti consecutivi conquistati da Carlo Carcano al tempo del calcio in bianco e nero e la Roma che raddrizza una partitaccia grazie all’eterno (Spalletti e Pallotta permettendo) capitano Francesco Totti. Una doppietta in un pugno di minuti che ha aperto le fontane della commozione del popolo romanista e ha aggiunto un altro capitolo alla saga dell’addio tottiano alle armi giallorosse che a Roberto Perrone – giornalista e scrittore – appare simile all’ultimo congedo “forzato” del pallone, quello di Alessandro Del Piero.
Con i due gol rifilati al Torino Totti ha riaperto l’asperrimo dibattito sul suo futuro alla Roma?
Io credo che purtroppo questo tipo di situazione così travagliata sia inevitabile. La mia versione è un po’ quella “cinica” della vicenda. Ho seguito l’addio di Alex Del Piero alla Juve, e quella storia ricorda molto da vicino quanto sta accadendo ora a Roma. In pratica c’è un allenatore che deve prendere delle decisioni e c’è un campione, legato alla maglia da frequentazione ventennale, che ha vinto tanto e che è amatissimo dai tifosi. E’ in là con gli anni e la prospettiva di continuare a giocare sembra in rotta di collisione con il realismo di allenatore e società. Nella mia carriera ho incontrato pochi allenatori che hanno posto aut-aut sui grandi campioni. Solo Arrigo Sacchi su Van Basten, mi risulta. Ammesso, beninteso, che sia vero ciò le cronache riportarono. Ritengo perciò che nessun tecnico, nessun mister cerca di “eliminare” un campione. Spalletti fa il suo lavoro e non credo che dietro ci siano fatti personali. Qualche anno fa, a Torino, Antonio Conte fu molto bravo, in quello che fu l’ultimo suo anno in bianconero, a gestire Del Piero in maniera precisa. Alex iniziava sempre dalla panchina, entrava nel finale, giocava la Coppa Italia, non aveva grandi possibilità di esser titolare. E pur partendo con queste premesse fece gol decisivi e importanti, alla Lazio e all’Inter, contribuendo alla vittoria dello scudetto della rinascita. Però oggi nessuno lo rimpiange.
Come è stato possibile?
Tutte le grandi manifestazioni di attaccamento ai campioni, ai simboli, alle bandiere sono manifestazioni di tifo e di affetto. Tutti sono inclini alla nostalgia poi succede che la Juve comincia a vincere scudetti a raffica, e i bianconeri ora si apprestano a conquistare il quinto titolo di fila, e il rammarico passa. Non so, adesso, quali siano le reali condizioni fisiche di Totti ma, ripeto, non credo al teorema dell’allenatore masochista. È un “semplice” scontro tra fede e ragione. Totti è sempre Totti, però c’è da far i conti con la “ragion di stato” della politica e dell’economia calcistica.
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Però il caso Del Piero, che pure è stato epocale, non ha avuto il sapore quasi “ideologico” della querelle su Totti. Perchè?
C’è un fatto molto importante, che non va mai sottovalutato, ed è il successo. Alex Del Piero venne centellinato nella stagione della rinascita juventina. Tutti intuivano, nella feroce lotta col Milan che la Juve intraprese quell’anno, la possibilità di ricucire finalmente lo scudetto sulla maglia bianconera. Si tifava per Del Piero, vero, ma la squadra andava comunque avanti e il caso era meno forte. E poi c’è il fatto che pressione mediatica e popolare erano, a Torino, meno forti di quella che c’è ora a Roma. Roma è un microcosmo che esercita pressioni forti, su questo Spalletti ha ragione. Oggettivamente la situazione di Totti non è molto diversa, ma Del Piero era meno ingombrante mediaticamente del capitano della Roma, nello stesso frangente. Totti è molto più presente nella situazione romana e perciò tutto diventa molto difficile da gestire. C’è anche da ricordare che Del Piero aveva detto che di voler giocare ancora, e difatti se ne andò tra Australia e India dove è rimasto per qualche anno a raschiare il fondo del barile. Totti, secondo me, un altro anno nella Roma potrebbe farlo. Però c’è la questione della società. Il presidente sembra non volerne sapere.
In tanti sperano che anche i dirigenti, i presidenti e le società possano cambiare idea…
Anche Del Piero. Alex fece la “furbata” e Agnelli se la legò al dito ed è per questo che a Torino non ci mette più piede. Mi riferisco a quando, sul suo sito, si ritrasse con le spalle del panorama di Torino annunciando che sarebbe stato disposto a mettere la firma su un contratto in bianco pur di restare alla Juve. Andrea Agnelli, per questa cosa, si inviperì perché – come da tradizione di famiglia – non sopportò l’idea di essere stato messo spalle al muro. Solo l’intervento del diesse Marotta, che fece appello alla necessità di trovare testimonial per il nuovo stadio che si andava inaugurando, salvò momentaneamente la situazione. Del Piero poteva essere utile, come lo fu, per lo Stadium e per la squadra. Naturalmente il campionato lo cominciò da riserva, come già accadeva da qualche stagione fino a che, a un paio di mesi dall’inizio della Serie A, entrò nel finale di partita contro il Chievo e risolse una partita brutta. E giù titoloni e peana da giornali e tifosi. Andrea Agnelli aspettò qualche giorno e poi fece la sua mossa. All’assemblea dei soci della Juventus invocò l’applauso degli astanti al capitano bianconero e annunciò che quello sarebbe stato il suo ultimo anno in bianconero.
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A proposito di addii, anche quest’anno si addensano le voci su una presunta partenza di Higuain da Napoli.
Questa è una situazione del tutto diversa da quella di Totti. L’argentino è un calciatore che con trenta gol ha portato, quest’anno, il Napoli a sfiorare lo scudetto. Se andrà via, credo, sarà solo per ragioni di bilancio. Mi risulta che questo sia il primo “esercizio” della gestione De Laurentiis in perdita. E, forse, la partenza di Higuain potrebbe contribuire a pareggiare i conti consentendo, contestualmente, la possibilità di intervenire sul mercato. Come accadde con Cavani.
Dalla Juve di Del Piero a quella di Allegri. Si avvicina il record di vittorie in Italia ma in Europa qualcuno ancora li prende in giro…
Premetto che ho un approccio molto poco italiano sulla questione: da vecchio tifoso genoano, quando la Sampdoria perse la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona non sono stato mica travolto dalla tristezza! Scherzi a parte, parlando della Juventus spesso non si considera che parliamo di un club che ha disputato otto finali di Champions e non è poco. Qualcuno, tempo fa, paragonò in maniera infelice i bianconeri al Rosenborg ma non mi risulta che i norvegesi siano mai arrivati a disputare manco una finale europea. Detto questo c’è da dire che quest’anno la Juventus ha battuto, in Europa, per due volte il Manchester City che è ancora in corsa e che col Bayern se l’è giocata sul serio. Pensare che solo qualche anno prima, ai tempi di Conte, a Monaco la Juve non vide palla. La mentalità italiana è quella per cui chi arriva secondo, battuto sul filo di lana, deve essere oggetto di beffe. Io, invece, ci vedo una medaglia d’argento.
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