Nel saggio “I profeti inascoltati”, l’editore Andrea Lombardi ha raccolto ritratti d’autore dei maggiori intellettuali controcorrente del Novecento. Qui Pietrangelo Buttafuoco su Ezra Pound
Il più grosso oltraggio che la democrazia ha commesso nei confronti di Ezra Pound non è di averlo rinchiuso nella “gabbia di gorilla”. Né, di per sé, il fatto di averlo cacciato per tredici anni nel “buco d’inferno” del St. Elizabeth’s. La vergogna vera e sanguinante del caso Pound non è dunque la violenza del potere nemico del bello e del buono ma la morale. Il peccato originale dell’Occidente non è la forza, ma l’incapacità di darle il sigillo del sacro, dovendo così ripiegare sulla più modesta giustificazione morale.
Ecco, ciò che deve essere stato davvero insopportabile per Pound non è tanto il rumore del chiavistello che risuona sordo alle spalle ma il sibilo fastidioso dell’ultimo uomo che tutto giudica e tutto misura sulla propria piccolezza. Potevano rinchiuderlo solamente, Pound. E invece l’hanno anche giudicato. Errore fatale. L’Omero del Novecento è stato giudicato da tutti: dai suoi compatrioti per nascita, gli americani, dai suoi compatrioti per elezione, gli abitanti della repubblica dei letterati. Ognuno, conformemente a un’etica egualitaria (l’ultimo uomo, appunto…), si è sentito in dovere di puntare il dito contro il poeta «finito con il culo per terra» – così sintetizza brutalmente Bukowski – e sferrare un calcio al vinto. Ogni calcio, un giudizio. E i peggiori, come al solito, non sono stati i nemici dichiarati, quelli che contro l’autore dei Cantos conducevano la loro guerra santa, astiosa e irragionevole, accecati dall’ultimo dei fanatismi, l’antifascismo. Ben peggiore è il languore dei vermilinguo che sul conto del veggente di Hailey hanno dovuto sprecare il fiato in innumerevoli “però”. Pound, il grande poeta, “però…”. Però era ossessionato dall’economia. Però era poco chiaro, decisamente oscuro, forse un po’ pazzo. Però era un ingenuo, un bambinone, un visionario, uno strampalato. Però era un dilettante, un presuntuoso, un eccentrico. Uno ad uno, questi però hanno fatto più male al poeta di ogni gabbia e di ogni tortura. Ne hanno smontato pezzo dopo pezzo la dignità di uomo e la grandezza dell’artista. Avrebbero potuto farne un nemico (riducendo tutti i “però” all’unica vera obiezione: “…però era fascista”) e invece hanno voluto trasformarlo in un buono di serie B. E se le condanne alla fine si esauriscono – persino quelle mai pronunciate: nessun giudice ha mai comminato i 13 anni di manicomio che la sua patria gli inflisse – il giudizio morale rimane sempre lì, a far danni.
Salvare Ezra Pound: quale impudenza. Se non fossimo completamente ubriachi di morale e di empietà, che poi è lo stesso, giungeremmo all’unica conclusione possibile. Ovvero che è lui che salverà noi. Noi: l’Italia, l’Europa, l’Eurasia. Perché no, il mondo. E anzi la prova più schiacciante della vacuità di tutte le altre sette soteriologiche sorte all’ombra di Wall Street e rimpolpate dai rampolli della borghesia progressista è proprio l’ignoranza dei Cantos.
Hai voglia a occupare, contestare, frignare se poi si è spiritualmente i gemelli omozigoti delle oligarchie combattute negli slogan. Se invece avessero letto Pound saprebbero che il contrario del mercato non è la democrazia, ma il tempio. The temple is holy because it is not for sale. Il tempio è sacro perché non è in vendita. Ecco l’eresia assoluta, ecco la rivolta totale, ecco la rivoluzione perfetta, quella che non ciancia di diritti ma evoca gli dei. Non c’è soluzione che non transiti per il tempio. Perché la religione è l’istinto di sopravvivenza dell’uomo. La religiosità è alla base. E, allo stesso modo, non c’è rivoluzione che non passi da Pound. Pound strumento di una demistificazione mai innocente, quindi. Da utilizzarsi soprattutto contro la regina delle mistificazioni, quel ballo macabro che è lo scontro di civiltà, organizzato e orchestrato scientemente da chi ha interesse perché le guerre continuino.
In Cabaret Voltaire scrivevo che la destra non è altro che la sinistra al culmine della sua fase senile. E lo è proprio perché non ha letto Pound. Lo ha citato spesso, ma non lo ha letto. Ha continuato a citarlo attingendo all’unica frase totemica, al motto esistenziale fattosi jingle, quello sull’uomo che deve essere sempre disposto a lottare per le proprie idee, perché altrimenti o non vale lui o non valgono le sue idee. Sotto la frase a effetto, nulla. Ed è stato quasi sempre così, con la notevole eccezione di quel pezzo di poundiano di ferro che fu Giano Accame. “Non mi piace – diceva il giornalista – un’Italia che si rinnovi attraverso i rinnegamenti e una destra che incalza la sinistra vantandosi: noi abbiamo rinnegato più di voi. Rischiamo di diventare un popolo di rinnegati”. Non rinnegare: il primo comandamento di un’etica del pensiero forte.
Bibliografia essenziale: The Cantos, Canti pisani, Canti postumi, Lavoro e usura, Dante.
Disegno: Dionisio di Francescantonio, matita su carta, 2021.