
John Kerry a Hiroshima non chiede scusa per le bombe nucleari della seconda guerra mondiale
Tre quarti di secolo ce l’hanno insegnato: non c’è nulla per cui l’America debba chiedere scusa al mondo. Tutto quello che i buoni fanno è sempre ben fatto. John Kerry, il principe consorte della dinastia Heinz specializzata in ketchup, dopo aver tentato anni fa la scalata alla Casa Bianca, s’è ritrovato in queste ore a Hiroshima, nelle vesti di segretario di Stato americano. Ha omaggiato il cenotafio delle migliaia di vittime causate dallo scoppio della bomba atomica e ha tuonato: “Mai più guerre nucleari”. Ma niente scuse, da parte di Ketchup Boy, per l’impresa dell’Enola Gay.
John Kerry s’è prodigato a smentire le voci che davano gli statunitensi pronti a chiedere il perdono per l’uccisione di oltre 200mila persone, nei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Del resto, come si diceva, tre quarti di secolo ce l’hanno insegnato: i buoni, pur quando fanno qualcosa di palesemente sanguinoso, violento e inutile, lo fanno a fin di bene, a malincuore e perchè costretti dalle preponderanti forze nemiche del Male. Liquidare la questione alla maniera di Hollywood è utile pure a non far arrabbiare ancora di più il ceto medio americano, quello che in massa sta seguendo Donald Trump, che confonde il patriottismo con un sentimento di arrogante disparità, storica, politica e culturale.
Non è un mistero, infatti, che a differenza degli Usa, il Giappone è stato costretto a chiedere scusa per tutto. A dicembre scorso, il governo chiese perdono alla Corea del Sud perché i suoi soldati “utilizzarono” le donne di Seul alla stregua di schiave sessuali. Non risulta – parimenti – nessuna scusa ufficiale a Italia e Germania per le marocchinate o per le performance erotiche dell’Armata Rossa, ricordate oggi come “il più grande stupro di massa della storia” oppure ancora le ruberie alleate nella terra desolata dei Nibelunghi che una lettera di un anonimo soldato americano, pubblicata nel 1945 da Time, descrive: “la ferocia e il saccheggio del nostro esercito, considerato ormai un’armata di violentatori”.
Ha ragione, perciò, Pietrangelo Buttafuoco a evocare il gran capo gallo Brenno: “Guai ai vinti”. Perché, senza sminuire le responsabilità di nessuno, non si può ottenere il perdono senza chiedere scusa. E un riappacificarsi “estorto” non sarà mai un vero passo verso la riconciliazione autentica, da pari a pari, tra le nazioni.