Prima di analizzare quanto sta accadendo in Europa dovremmo partire dal seguente banalissimo assioma: non sempre le cose vanno come noi vorremmo. E’ stridente il paragone tra l’Europa più volte descritta, in particolar modo dai gendarmi del politicamente corretto, e l’Europa reale alle prese da un lato con l’estenuante crisi economica e dall’altro lato con il terrore di stragi che, nel loro insieme, hanno l’atroce ma incontrovertibile linguaggio e significato di una guerra.
Nella cosiddetta generazione Erasmus, ad esempio, dove il dogma del multiculturalismo scorre nelle vene, la prima reazione ad un atto di guerra non è in un moto di orgoglio, dignità, amore per la propria terra, ma trova compimento in un abbraccio collettivo, in qualche disegno con dei gessetti colorati, nel postare una frase strappalacrime sui social e dulcis in fundo nell’ascoltare Imagine di John Lennon suonata in piazza da un giovane emulo dei figli dei fiori. Molto probabilmente i concetti di guerra, di morte, di rischio della propria esistenza, non sono contemplati nell’Europa di oggi dove prima di ogni altra cosa vengono la ricerca del profitto e l’edonismo.
No, non si tratta di essere cultori di una nuova stagione di conflitti tra interventisti e neutralisti alle soglie o nel bel mezzo di una terza guerra mondiale, ma di evidenziare la dicotomia tra il buonsenso e l’illusione che il male ed il bene si confondano in responsabilità tali da non poter inquadrare nessun nemico. E di conseguenza, in una società relativista, la classe dirigente se da un lato è pronta ad entusiasmarsi perché un innocente bambino, celebrità inconsapevole di fatue voluttà altrui, conia il termine petaloso, dall’altro lato si ritrova in lacrime di fronte ad un atto di guerra in una capitale europea.
Ci vorrebbero leader che in modo poco petaloso ma molto concreto abbiano il coraggio di dire una sacrosanta verità: l’Europa sognata nel secondo dopoguerra non esiste, non è una realtà odierna e non sarà realtà negli anni a venire. Chi pensava che, caduto il muro di Berlino, la guerra nel continente europeo – seppur qualcuno ha in fretta dimenticato gli orrori commessi di recente nella ex Jugoslavia – sarebbe stata inconcepibile, semplicemente si sbagliava. L’Europa oggi è altro e bisogna, purtroppo, farsene in fretta una ragione perché l’ignavia risulterebbe un peccato mortale.
Detto ciò, quale credibilità possono però mai avere quei leader occidentali attuali – tipo Hollande, Cameron, Merkel o Obama – che hanno incoraggiato e foraggiato le primavere arabe, rovesciato Gheddafi, destabilizzato l’Iraq, accentuato il fenomeno dell’immigrazione incontrollata e portato persino parte della Libia ad essere preda dello Stato Islamico dopo che lo stesso è stato ampiamente aiutato ad espandersi in Siria, nell’altrettanto sbagliato tentativo di detronizzare Assad? Non sarebbe il caso di ammettere il corto circuito nato nel ritenere partner affidabili Arabia Saudita e Turchia e poi dichiarare i fondamentalismi islamici il male assoluto? Non sarebbe il caso di ripensare al ruolo della Nato visto che il pericolo non viene più da est, non è più il comunismo sovietico ma l’integralismo islamico? Non sarebbe il caso di togliere le sanzioni alla Russia e ritenere Putin realisticamente il miglior alleato nella lotta al terrore?
L’Europa, o perlomeno chi ne ha guidato le sue sorti negli ultimi decenni, ha creduto ingenuamente che bastava dare la cittadinanza francese, belga, britannica, tedesca o italiana a chiunque perché tutti divenissero cittadini modello e tolleranti, pensando di sradicare storie o culture millenarie. E così facendo il nemico, visto quanto accaduto in Francia ed in Belgio ce l’abbiamo in casa, lo abbiamo allevato e lo alleviamo nei nostri quartieri, nelle nostre città, vive con noi ma pianifica la nostra morte e potrebbe magari farlo a prescindere dalla presenza o meno dello Stato Islamico in Medio Oriente.
Non una generazione Bataclan, non una generazione Erasmus, non una generazione petalosa. Ma una generazione di italiani ed europei realisti e di buon senso che, attraverso una presa di coscienza collettiva, allo stesso tempo amino la pace così come la propria terra. Non è in gioco una generazione ma forse è in gioco il futuro stesso di un continente.