La saga di Harry Potter, fenomeno prima editoriale e poi cinematografico di grande successo, s’inserisce nel filone letterario fantasy, un gradino sotto all’inarrivabile opera tolkieniana. Certo, per i seguaci de Il signore degli anelli quell’imberbe occhialuto maghetto deve essere apparso inizialmente come uno dei tanti fenomeni d’intrattenimento per bambocci, la solita zuccherosa melassa da far ingurgitare agli adolescenti con l’insistenza del marketing promozionale, il goffo tentativo di coniugare romanzo di formazione con edulcorate formule fiabesche, tradotte poi in pixel luminescenti ad uso multisala. Figurarsi: a distanza di anni gli adepti tolkeniani ancora dibattono animatamente sulle incongruenze tra libro e film, gareggiando per erudizione. Forse qualche pregiudizio è rimasto, alimentato dal seguito generalista, al solito inospitale greppia per i più sofisticati. Tuttavia, oltre alle indubbie doti creative dell’autrice, va riconosciuto a J. K. Rowling il merito di essere riuscita ad imbastire una interessante struttura narrativa stratificata, sapientemente arricchita da riferimenti di natura esoterica frammisti a trapassi spazio-temporali riguardanti l’epoca contemporanea: il fascino gotico e plumbeo della vecchia Albione, che si declina recuperando la poetica di Dickens, in paesaggi di grande suggestione; lo spirito d’appartenenza al clan (Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero) e agli ordini sapienziali, con filologica digressione araldica; il pertinente utilizzo della simbologia iniziatica, sia nelle minute vicende che nella struttura portante, sovente ben risolto anche dal punto di vista formale; la velata sovrapposizione di mondi diversi, comunicati fra loro attraverso stratagemmi ingegnosi quanto efficaci.
In questa sede, impossibilitati a trattare per esteso la complessa fenomenologia “potteriana”, ci limiteremo a tratteggiare il profilo del personaggio più interessante della saga, ovvero quello del professor Severus Piton, anche per onorare la memoria dell’attore Alan Rickman, recentemente scomparso, che ne interpretò magistralmente il ruolo nella trasposizione cinematografica. Docente di pozioni, in seguito di difesa contro le arti oscure presso la scuola di magia di Hogwarts, Piton è il malmostoso per eccellenza, l’uomo nerovestito incapace di un sorriso se non per scherno, colui che fa del cinismo e della glacialità il proprio tratto distintivo. Personaggio ermetico (Hermes/Mercurio, qui riferimento decisamente opportuno), egli custodisce segreti gravosi, portandone il pesante fardello con stoica imperturbabilità. Severus Piton, a maggior ragione nell’interpretazione di Rickman – che a tutta prima potrebbe essere scambiato per un Renato Zero in vena di esorcismi – è in realtà affascinante proprio per l’ambiguità latente del suo fare, per l’inquietante e sfuggevole posizionamento sullo scacchiere narrativo: troppo palesemente buoni i vari Weasley, Granger, Silente, Hagrid, nonché tutti gli affiliati all’Ordine della Fenice; di contro, specularmente perfetti cattivi Voldemort, Malfoy, Lestrange e soci Mangiamorte. Piton, ondivago nel mezzo, è la spia e la contro-spia, il solitario ed introverso latore dell’indicibile, l’amletico tragico ed il Rebis alchemico riunente gli opposti.
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Cercando qualche similitudine, potremmo azzardare un paragone con la figura di Saruman presente ne Il Signore degli anelli, nonostante le strade dei due personaggi procedano, nei rispettivi racconti, in direzioni opposte. Il bianco capo degli Istari ideato da Tolkien, finisce per tradire la giusta causa per amore del potere e, soprattutto, per la fascinazione manipolatrice, da demiurgo perverso intento a dare nuova forma al golem tellurico (l’assoluta modernità dello stregone, già riferita allo schema inumano comunista, ora semmai accostabile ai tecnocrati eugenisti, ci fa promettere un ritorno su questo soggetto controverso). Al contrario, la vicenda sofferta di Piton prende le mosse dall’adesione al malvagio sodalizio, stipulata come reazione difensiva alla timidezza e alla goffaggine palesate in gioventù, per poi tendere al ravvedimento. Incapace di reggere la sfida d’amore con il brillante James Potter – futuro padre di Harry – per la conquista di Lily, Severus si rifugia nelle oscurità esoteriche, nel sordido patto tra Mangiamorte, quindi nella dimensione tenebrosa ed equivoca ben rappresentata dalla casata Serpeverde. Qui, in seguito all’uccisione dell’amata e alla mancata metabolizzazione dei suoi sfortunati sentimenti, il mago tramuterà le proprie frustrazioni in agape riparatrice, operando segretamente per difendere il piccolo orfano Harry dalle mortifere attenzioni dell’Oscuro Signore. Mai trasparirà la bontà da quel volto, maschera sempre incline al disgusto e all’altezzosa supponenza, tanto che solo alla fine della storia si potranno cogliere tutti gli “sporchi lavori” svolti dal professore, culminati nel sacrificio estremo: la morte romantica, non certo offerta per il primo della classe Potter, quanto per il sentimento non corrisposto ma mai venuto meno, nei confronti della madre del protagonista. Severus Piton, giganteggiando sulle svenevolezze ad uso babbani, si pone quindi come il vero eroe dell’intricata vicenda, o, quanto meno, il più affascinante per i non avvezzi all’adulazione semplicistica.
@barbadilloit