Siamo stati davvero ineducati. Però c’è ancora tempo per rimediare ai morsi della coscienza che, dalla dimensione dello specchio, ti guarda strano e ti scava dentro manco avessi abbandonato sette cuccioli di labrador sull’autostrada. Auguri, Bud Spencer.
A Carlo Pedersoli (e al sodale storico Mario Girotti) dobbiamo almeno un quarto del nostro immaginario collettivo. Bud Spencer e Terence Hill, botte da orbi sempre dalla parte dei giusti ma senza la boria dei paladini della giustizia. Uno, grosso barbuto e perennemente imbronciato, scolpito dal mare suo elemento naturale che negli anni è rimasto fedele a se stesso, e l’altro smilzo, veloce e scaltro figlio del mondo e legato alla terra da fantascientifici giochi di carte e da bar prima della vocazione da sacerdote ficcanaso seguita a quella da guardia alpina . Bud che voleva sempre farsi gli affari suoi e Terence che spingeva tutti e due nei guai, spesso, per amore di una giovane e leggiadra pulzella indifesa.
Tipo i Dioscuri, per dire. Solo che menavano mazzate sulle note wannabe, scanzonate, leggere (che oggi risuonano terribilmente nostalgiche) degli Oliver Onions, quelli della Dune Buggy o di Fantasy. Indifferentemente capaci di atterrare un’intera palestra di tipi smargiassi e di cantare in un coro polifonico.
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Con o senza Terence Hill, Bud Spencer ha sempre incarnato il ruolo di chi si trova in mezzo ai guai senza neppure volerlo. Trascinato dalla boria degli altri in battaglie e guerre da cui esce sempre vittorioso, facendo trionfare le ragioni degli umili e degli offesi. Nella sua sterminata filmografia ha battuto decine di volte la mafia italoamericana, le gang di motociclisti, i guappi di zona e i tirapiedi dei latifondisti dell’America del Sud centrale, dell’Africa. E poi, poliziotti corrotti, baristi usurai, marines balordi, trafficanti di animali, manager arrapati di vizio e denaro, tutti i palafrenieri dei poteri invertiti che giocavano sulla pelle degli ultimi. Con loro ha schiaffeggiato anche le rozze mode che animavano gli arroganti del momento, tipo quella delle arti marziali de noantri, quelle dei buffoncelli che si davano un tono a scuola facendo mulinello inguardabile con braccia e gambe ritenendosi l’incarnazione malvagia di Bruce Lee o di Rocky Balboa. Se ne potrebbe fare, di Spencer, quasi un antimoderno.
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Incardinare Bud Spencer nei panni dell’eroe è ancora troppo poco. Lui ha incarnato uno dei più begli esempi di antieroe. Un Robin Hood, con qualche macchia e tanta voglia di fagioli, che tale può compiersi solo per reazione ai soprusi dell’altro. Roba che forse potrebbe far venire il mal di testa a Gilles DeLeuze. Dotato di un codice morale inappuntabile incastonato nell’humus della filosofia di vita dell’atarassia, concetto che il popolo (e perciò il suo campione, Pedersoli) traduce nell’osservanza ortodossa al comandamento del futtatenne. E’ il filo che unisce le avventure di Piedone e quelle del Capitano Bomber che educa Giorgione Desideri, nu guaglione ‘e miezz ‘a via, alla boxe come medium di redezione personale e riscatto collettivo dalla tracotanza degli oppressori del sergente americano Rosco Dunn, al soldo dell’usuraio Croupe.
Una sorta di risposta a Robin Hood che, quando scopri che Bud Spencer non è l’ennesimo attore americano cresciuto a cheeseburger ma un omone del quartiere Santa Lucia di Napoli, ti sale quella sensazione che solo dopo puoi qualificare, quella dell’orgoglio nazionale. Scolpito dalla salsedine di Posillipo e non dalla brezza della West Coast. E da qualche giorno, quell’omone ha compiuto ottantasei anni. Auguri di cuore, Bud.