Ho appreso che per la Sinistra la meritocrazia viene considerata un “valore di destra” ed è per questo che viene snobbata o ostacolata, con grande beneficio di tutti, come si vede. Ma il rispetto della parola data, di un giuramento, il senso dell’onore sono anch’essi “valori di destra”, o meglio valori “assoluti”, come ho sempre pensato, oppure no?
Il dubbio mi sorge dopo gli sconcertanti avvenimenti di marzo che hanno visto come protagonisti i due fucilieri di marina coinvolti nello scandaloso caso indiano. Prima, il giorno 11, il governo “tecnico”, nelle persona del ministro degli Esteri, l’ambasciatore Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, annuncia che i due marò, in Italia per “licenza elettorale”, non verranno rimandati in India in vista del processo. Poi il 20, un giorno prima della scadenza della “licenza”, il governo cambia idea e rispedisce in India i due militari. Come conseguenza, riferendo dei fatti di fronte al nuovo Parlamento, il ministro degli Esteri di dimette, quello della Difesa, l’ammiraglio Di Paola, non si dimette, e il presidente del Consiglio Monti afferma che Terzi si è dimesso senza preavvisarlo perché ha “secondi fini” (termine assai pericoloso, considerando che è stato il presidente della Camera a sponsorizzarlo per quel dicastero: spero vivamente che il PdL, come purtroppo usa spesso fare, non accolga fra le sue braccia il marchese di Sant’Agata, magari conferendogli incarichi di prestigio…).
Di fronte alla prima decisione (far restare Girone e Latorre in Italia), c’è stato un unanime coro positivo della stampa e dei politici che potremmo chiamare “di destra”, anche se in precedenza avevano detto peste e corna del governo Monti e del ministro degli Esteri in particolare. Di fronte alle seconda decisione (rimandarli in India) ci sono state reazioni sconcertate e infuriate da parte degli stessi ambienti che hanno parato di “tradimento”. Di fronte alla terza decisione (dimissioni di Terzi) ampia solidarietà al ministro.
Qui c’è qualcosa che non quadra e che non capisco. Qui lo sconcerto è mio. Mi sembra che sia avvenuta una inversione, un capovolgimento dei valori che sono stati sempre di “destra”, offuscati dalla giusta rabbia nei confronti dell’inefficienza governativa e dalla forte preoccupazione per la sorte di due militari trattati come figli di nessuno dallo Stato che servono. Ciò può essere comprensibile, ma non può a mio parere giustificare la rinuncia a quanto la Destra ha sempre creduto, considerato appartenente alla propria “visione del mondo” (su cui tanto ironizzano certi nostri amici molto pragmatici e concreti), il suo catalogo di idealità. Appunto la parola d’onore (in questo caso di un governo ancorché tecnico) di uno Stato (l’Talia), di una forza armata (la Marina Militare), di un ambasciatore (quello italiano in India).E dire questo, ovviamente, non significa affatto “stare dalla parte dell’India”…
Con la decisione dell’11 marzo, stracciando il patto sottoscritto a Nuova Delhi tra i due Paesi, l’Affidavit siglato dal nostro ambasciatore, abbiano dimostrato ancora una volta al mondo che non siamo una nazione sincera su cui si può contare, che siamo uno Stato che si rimangia la parola data, che non ha alcun senso dell’onore, che non conosce la ferrea regola dei nostri antenati, quella dei pacta sunt servanda (ce lo ha ricordato il politologo Edward Luttwak!) anche se il mantenerli costa parecchio, come dimostrano le leggende dell’antica Roma che abbiano studiato alla scuola media.
I patti si osservano,i giuramenti si mantengono, l’onore si preserva costi quel che costi. Perché qui non vale dire che gli indiani si sono comportati in maniera banditesca, che chi ci hanno imbrogliati, che ci hanno presi per i fondelli durante mesi e mesi dilazionando giudizi e decisioni eccetera. Che, come ha scritto Terzi in un articolo su Il Giornale del’8 aprile, “erano modificati radicalmente i presupposti per la validità del nostro Affidavit”. Questo è lo stesso ragionamento che ci ha portato a cambiare le alleanze nel 1915 e l’8 settembre 1943: anche in quelle occasioni si erano “modificati radicalmente i presupposti” di patti (alleanze) liberamente sottoscritti in precedenza. Il fatto è che a livello di diritto, non rispettandolo, abbiamo dimostrato malafede, confermando agli stranieri che siano quelli di sempre. Insomma, che Monarchia o Repubblica, governo politico o tecnico, siamo sempre gli stessi: quelli che voltano gabbana e che non hanno senso dell’onore, anche se mantenerlo costa carissimo.
Ecco perché non capisco tanti battimani a Terzi e Di Paola l’11 marzo. Così come non capisco la difesa del primo il 20 marzo e dopo. C’è un inversione di valori: ci si felicita del voltafaccia e della mancanza di parole; ci si arrabbia quando, con una capriola, si rientra nei ranghi.
Difendere il Terzi di Sant’Agata mi sembra una cosa demenziale. Non solo questo diplomatico di carriera che è stato addirittura ambasciatore presso l’ONU e negli Stati Uniti, con le due decisioni opposte, comunque decisioni del governo di cui ha retto la politica estera, ha messo in serissimi guai la nostra diplomazia nelle sue sedi estere: come fare a giustificare logicamente e giuridicamente a vari Paesi scelte così contrastanti? Non ci abbiano fatto una figura di pagliacci? Politici italiani, addirittura di sinistra, hanno evocato Caporetto e, appunto, l’8 settembre. Ne usciamo con le ossa rotta e zero credibilità, alla faccia della “presentabilità” internazionale di Monti. Ma soprattutto a me pare evidente che l’alzata d’ingegno di non far tornare in India i marò sia nata perché Terzi, Di Paola e il governo tecnico si sono cacciati sempre più in un vicolo cieco, in una via senza uscita, incapaci di risolvere presto e bene un caso che si trascinava da un anno, e lo si poteva fare soltanto così, con una mossa disperata, trattenendo i nostri una volta rientrati in Italia. In dodici mesi sono state prese decisioni sbagliatissime, o nessuna decisione che poteva essere efficace anche indirettamente: per la precisione non è stato fatto un bel niente a livello internazionale lasciando che le cose andassero per conto loro (degli indiani) per paura di chissà che cosa. Non certo le rappresaglie economiche minacciate da Nuova Delhi, ma soo nel momento in cui noi siamo passati dalla parte del torto stracciando i patti.
Ora Terzi, nell’articolo citato, dice che tutto questo non è vero e che, a livello diplomatico e non certo raccontabile al momento, tantissimo è stato fatto e lo elenca: ma della “crescente e ampia pressione internazionale” sul’India se ne è accerto soltanto lui e di nessun passo ufficiale dell’ONU abbiano saputo, mentre della UE sappiamo che se ne è lavata pubblicamente le mani. La mediazione di un rappresentante delle Nazioni Unite, il ricorso al diritto internazionale, la violazione della Convenzione del mare ecc. ecc. di cui para Terzi non doveva ricercarsi nell’ultimo mese inducendoci alla mossa suicida di venir meno ai patti, ma quasi subito dopo l’arresto di Girone e Latorre portati via dalla Erica Lexie dai poliziotti indiani alla faccia della nostra sovranità. Del senno di poi son piene le fosse, purtroppo.
Forse sarà necessaria una commissione d’inchiesta per far piena luce sulla mala gestione di un caso tanto delicato. Ancora nessuno, neppure Terzi nel’intervento citato, ci ha fatto sapere – a noi, agli italiani, alle famiglie dei due marinai – alcune questioni fondamentali:
1.La Erica Lexie si trovava in acque internazionali, o era nelle “acque di rispetto” autostabilite dal’India? Il dato è essenziale e non solo ricavabile dagli strumenti della nave ma soprattutto dai satelliti che non possono sbagliare. Quindi poteva essere conosciuto subito e decidere in merito qual era la decisione da prendere ai più alti livelli.
2 Chi ha deciso di conseguenza il rientro in porto della nave dopo la sollecitazione menzognera degli indiani? Il capitano, l’armatore, il ministero degli Esteri, il ministero della Difesa, una unità di crisi? Una decisione singola o collettiva? Da questa decisione ha avuto inizio il disastro.
3.Una nave, come un aereo, è una parte di nazione che se ne va in giro per il mondo, quindi ha una sua sovranità. Chi ha consentito ai poliziotti indiani di salire a bordo e addirittura di arrestare i due fucilieri di marina?
4. Quali erano le precise “regole d’ingaggio” per i reparti della Marina imbarcati in funzione anti-pirateria sulle navi italiane? Se potevano sparare (abbiano o no sparato e colpito Girone e Latorre) il comportamento di cui sono accusati i marò non esiste, e se esistesse sarebbe competenza italiana, come accade per ogni militare che commette reati, veri o presunti che siano.
5. Chi ha deciso di seguire una linea totalmente sottotraccia, e di non fare ricorso appena le cose hanno preso la piega che sappiamo con ritardi, offese, insabbiamenti da parte indiana all’ONU, alla Corte Internazionale di Giustizia, di non sollecitare un intervento su Nuova Delhi dei cosiddetti “Paesi amici” e certo assai più influenti di noi, come gli Stati Uniti?
6. Chi ha deciso di non tentare nemmeno la via di ovvie rappresaglie, tipo il ritiro dalle operazioni internazionali anti-pirati, un ritiro anticipato dall’Afghanistan o altro se non avessimo avuto un minino appoggio diplomatico di nazioni amiche e alleate in questo frangente?
Nel prosieguo della vicenda se ne sentiranno di tutti i colori, magari con clamorose “rivelazioni” giornalistiche o politiche, ma se non si sciolgono questi interrogativi non sapremo mai la verità di questa Caporetto diplomatica, di questo 8 settembre del nostro onore politico e militare. Sicché infilatisi in un cul-de-sac simile i nostri ministri non hanno saputo trovare altra soluzione che un colpo di testa: infrangere la parola data e trattenere i due marò in Italia. Poi sappiamo come è finita.
Ma quel che non trovo tollerabile è che adesso il marchese di Sant’Agata venga considerato a destra come una specie di eroe, e che imperversi su Facebook dando consigli, invocando l’ONU e la NATO, ammonendo a destra e a manca. Poteva pensarci prima, poteva muoversi per tempo. Sulle sue spalle grava anche l’assurda situazione in cui ha messo la nostra diplomazia in tutto il mondo che deve spiegare e giustificare un duplice voltafaccia.
Una considerazione finale. Questo disgraziato caso è da considerarsi anche come una prova cui sono stati sottoposti gli italiani, come singoli e collettività, una tragedia senza nostri morti come invece fu per Nassirya, quando tutto il Paese reagì molto bene. Ma oggi non è più così. Quali le reazioni? Disastrose, disgustose direi, della tenuta di questo popolo: dalla irrisione nei confronti di chi portava i nastrini gialli per ricordare i due marò, agli insulti in Rete contro i “fascisti che sparano”, alla negazione di locali e sedi pubbliche per parlare del loro caso. Un esempio del patriottismo di sinistra, democratico e progressista. Anche tutto questo è una Caporetto, un 8 settembre del nostro sentimento nazionale, ammettiamolo.
* anticipazione per concessione dell’editore da Il Borghese di maggio 2013