“Muoio di melanconia senza di te, Gabri – e con te, non è più possibile vivere!” Londra, 12 maggio 1900. Eleonora Duse
Una lettera si impone in presenza palpabile, attraversa distanze spaziali e temporali. È involucro di sostanza in carta, ambasciatrice di cura e attenzione, identità in corsivo che alcuna e-mail potrà mai sostituire. Rivela personalità, stati d’animo, momenti storici e frenesie. La lettera è testimonianza del presente, accade nell’avviarsi al futuro e nella possibilità di conservazione è già memoria del passato. Si accomiata dall’attesa prensile dell’uno, per salutare la dimora dell’altro. Rivolge una preghiera silente alla cortesia postale che in un disordine di noncuranza, non abdichi in favore di distrazioni umane e burocratiche. Confida in un’immagine tutta romantica del portalettere a cavallo di una motoretta, lesto e probo nella consegna. Un cavaliere contemporaneo invulnerabile al demone della sbadataggine, impermeabile all’errore fatale di un civico, una cassetta, una via.
Nessun virtuale potrà mai soppiantare l’antico odore della carta, mostrare la parola sbafata dall’inchiostro che si fa pavimento di una lacrima. La posta elettronica è abile simulazione del reale che, in un meccanismo proprio, si nega all’atto del serbare in un imperativo: cavalcare il presente. Deteriorabile e neutra nell’ostentazione dello stampatello, frettolosa nell’esprimersi in faccette con l’unica finalità di svilire il sentimento. Non domanda luogo deputato alla lettura: un presunto innamorato legge tra l’indifferibilità del lavoro e la frenesia della curiosità, in quel punto esatto dove si perdono le parole. L’ipotesi dell’esistenza di un certosino virtuale che voglia conservare tutto in un’estranea cartella gialla, non assolve comunque alla solennità della carta. Quello senza lettere è un presente desolato, orfano di un passato non più memoria da rivivere e trasmettere.
Non l’atto voyeuristico dunque, ma la volontà di poter attraversare ancora un remoto carico di valori, in francobolli e corsivi, invita alla riscoperta del carteggio d’amore. È in questo scambio di inchiostro, lontano dal romanzo epistolare, che il lettore incontra lo scrittore non disgiunto dall’uomo: l’opera tutta coincide con l’autore. In una scrittura sottratta al destino imminente della pubblicazione, l’artista si umanizza in vizi e virtù, altrimenti scollati dal libro, frutto di progetto e finalità. Il carteggio fatto opera è il risultato del lavoro paziente del curatore, che rende disponibile il momento privato per eccellenza. Due creature nude si rivelano in tutta l’umana fragilità. La gelosia, la più democratica degli istinti, investe la musa e il piedistallo, all’apparenza infrangibile, dell’artista.
“Come il mare io ti parlo” è l’esito di un grande lavoro a cura di Franca Minnucci, racchiude le lettere di Eleonora Duse, dal 1894 al 1923, scritte a Gabriele d’Annunzio. Un’opera composta da un importante numero di pagine (1406); all’interno la Duse riversa in lettere, un amore incontenibile fatto di dolore e desiderio. Un’attrice sin troppo tale, non dimentica per un solo istante il palcoscenico, quasi a voler teatralizzare il tormento di cuore, pur nella sfera oltremodo privata del carteggio. Le pagine non raggiungono una mole ancor più colossale, per la mancanza delle riposte del Vate, andate distrutte per volontà della Divina. Figura un’eccezione, l’unica lettera dello scrittore è datata 17 luglio 1904. L’immagine, che le numerose missive restituiscono, è quella di una donna in preda al sentimento amoroso, fragile al limite dell’isteria, gelosa e richiedente. Una relazione fatta di liti, rivalse, allontanamenti finalizzati al ricongiungimento, silenzi e dichiarazioni. Il trasporto è invischiato di una drammaturgia propria dell’attrice, dove spesso il malessere fisico si fa latore di suppliche e attenzioni. La gelosia è cornice costante.
Le risposte di “Gabri” si intuiscono dal copioso scorrere nelle parole di Eleonora, una tensione continua nel tentativo di accontentarla per tramite di opere teatrali, rassicurazioni e rinnovamenti del giuramento amoroso. Nella lettura di uno dei carteggi più importanti della storia e della letteratura, si tratteggia un sentimento morboso nella figura di una donna che anche nel delirio di cuore, non si discosta mai da quel teatro che la abita come un amo et odi.
Differenti i toni di un altro carteggio parimenti importante, del poeta Rainer Maria Rilke per Elisabeth Dorothea Spiro, Merline. Il libro “Lettere a Merline”, vive solo nelle parole del poeta, poiché le risposte della donna, sono accessibili solo in lingua francese. Nella corrispondenza è rintracciabile l’anima dello scrittore, in un dilatarsi del tempo quasi incomprensibile per il creato femminile. La testimonianza di uno scorrere lento nell’elaborazione di un sentimento è già nella prima lettera di Rilke per Merline, scritta esattamente quarantadue giorni dopo il primo incontro: “Carissima signora non penserete c’io v’abbia dimenticata”.
Il bisogno di solitudine dello scrittore, in attesa di quell’abbraccio che lo stringa nell’ispirazione poetica, costeggia la passione. E Merline scopre l’indulgenza di cuore, forgiando il dono di comprensione. La donna si pone nel momento dell’ascolto, come un parlatorio ideale. Il sentimento diviene agevole alla creazione, che è indissolubile dall’uomo. Klossowska è immagine confortevole: il dolore, l’attesa e la passione si fanno grazia liturgica. Un carteggio emblema della razionalità maschile che non entra in contrasto con l’impeto femminile, ma evolve in gesto balsamico di sollievo.
“… abbiamo gettato il fondamento di tali consolazioni fin dalla nostra prima sera e, se consentissimo alla tristezza di traboccare, sarebbe come sconfessare tutte le vie attraverso le quali ci siamo avvicinati l’uno all’atra. Tutti i nostri discorsi, lo ricorderete, carissima, ebbero inizio al di là delle sensazioni provvisorie, ed è impossibile pensare che, dopo esserci arricchiti con continue elargizioni reciproche, ci si possa ritrovare in seguito meno temerari e meno assennati. Non ci si deve fermare ai dettagli, neppure ai più cari (è così che si travisano i più perfetti disegni del destino); occorre ricondurre al tutto le diverse manifestazioni della nostra sensibilità, giacché soltanto così le considereremo nel loro valore durevole e definitivo.”. Bellevue Palace, Berna, agosto 1920.
È nella “melodia delle cose” che il poeta fluisce per trasfigurare l’amore, fornendo i mezzi per un conforto, libero da insofferenza e trepidazione.
Dalle pagine dei due carteggi, giunge la forza di un unico sentimento, vissuto con dissomiglianti disposizioni d’animo. Il primo, quello della Duse, costruito su un’affabulazione amorosa che si alimenta nello strazio. In Rilke, la sfera affettiva è quiete, in un erotismo che si mescola alla compostezza della natura. La possibilità di attraversare l’animo dell’artista, per mezzo di corrispondenza, diviene una differente prospettiva per poter vivere la letteratura e l’arte tutta. È un defluire in una zona neutra. L’uomo aderisce all’autore e transita nell’opera come un’eccezionalità, in un dialogo intimo, privo di vincolanti finalità estetiche. Quale posta, spalmata in una piattaforma virtuale, nel suo principio di autocombustione, potrà mai raggiungere la solennità di una lettera?
“Ghisola tua” – “René”