Ho letto “Uno splendido insuccesso imprenditoriale” di Michele Fronterrè – edito da Grantorinolibri – , con la perplessità di chi non è, in generale, a suo agio con letture specialistiche di taglio economico. Ebbene, non è accaduto ciò che più temevo: perdermi nei rivoli dell’economia d’impresa che è quanto di più mi è estraneo. Sebbene vi siano dei passaggi tecnici e specifici delle dinamiche imprenditoriali, il racconto scorre fluidamente e così la lettura diventa veloce, nel senso positivo del termine.
Le mie considerazioni, mentre leggevo il racconto, sono state duplici e procedevano come su rette parallele. La prima, la storia dell’impresa – impresa,nel senso di avventura – . Lode alla tenacia ma di certo quella raccontata in questo libro è una pagina di metaeconomia. L’ombra del gufo aleggia sull’italian way del capitalismo. Tra il cinismo e la desolazione si muovono le riflessioni dell’autore sul provincialismo del nostro voler essere imprenditori. Che ha ragione perché ci perdiamo nelle “vanedduzze” del mercato globalizzato, abbiamo paura di internazionalizzarci ed ha ancora più ragione quando accusa la politica di frenare l’innovazione o soprattutto di avere tempi assolutamente non in linea con i processi imprenditoriali.
Non mi sento di giudicare il valore del sogno che faceva da lievito all’iniziativa raccontata,che era anche il tentativo di mettere a frutto anni di studio e di specializzazione in un lavoro creativo e promettente nei guadagni.Però, l’esperienza vissuta, a consuntivo, svela l’orizzonte ristretto in cui i giovani pensano di progettare un futuro professionale.
Mi spiego facendo leva sulla mia esperienza di qualche anno fa, quando mi sono occupata,nel mondo della Scuola, di Orientamento Universitario e Formazione.Curavo il passaggio e le scelte degli studenti del Liceo in cui insegno verso gli studi universitari e/o il mondo del lavoro. Da quel punto di osservazione, ho potuto notare quanta difficoltà, psicologica, i giovani abbiano nel pensarsi verso grandi obiettivi. Come la freddezza del mercato e della politica del lavoro affronti questo problema. Vanno all’estero, i nostri studenti, con timidezza mentre quelli che arrivano qui, e io ne ho conosciuti ,sono disinvolti e sicuri di sé sebbene meno colti. Fa bene questo libro a smontare certa retorica. Le start up sono presentate – anche nella Scuola – come il migliore dei mondi possibili, il distretto di Catania nel mio caso meglio della Silicon Valley.E a tutti si promette, assai spesso, che diventare Steve Jobs è più semplice che avere un posto in un ufficio al Comune.
Quando sono stata alla Università La Sapienza, per la presentazione ufficiale della Buona Scuola, ho capito che la narrazione era già cominciata. Che le start up, sulle quali gli studenti dovevano essere preparati a lanciarsi, erano solo un altro mezzo per le speculazioni dei grandi gruppi industriali e finanziari e per la lottizzazione degli enti locali.
Da questo punto di vista,questo volume è metaeconomia come metaletteratura è “Don Chisciotte”: mostra la faccia vera, e quindi folle, di chi rischia di giocare con le proprie regole: quelle del sogno e dell’onestà. Cervantes mi aiuta a passare il testimone alla seconda considerazione, che mi appartiene di più visto che insegno Italiano e Latino e sono bibliofaga.
Questo volume è un saggio ma corre come un racconto. Si ricostruisce un fatto ma il lettore si trova dentro la letteratura. I personaggi, gli ambienti, il ritmo è quello di un plot. La descrizione di Karolina – per dire – (anzi l’occhio maschio dell’io narrante), e poi lo spaccato della visita all’amministratore di condominio, i vari personaggi – così veri da sembrare finti – di Lanotte, Funelli e Profumo, è letteratura che fa l’occhiolino a certa ritrattistica siciliana.
E cito solo alcuni esempi, ma il libro è in ogni sua riga questo. Quello che ho più apprezzato sono state certe incursioni: l’immagine di Davide e Golia, la breve dissertazione sull’uso delle lingue, la riflessione sul rimorso per le cose non fatte che vale solo per l’amore, l’uso metaforico di molti termini e la citazione di Zio Petrose la congettura di Goldbach.
Un consiglio? Andrebbe presentato in una di quelle convention tutte renziane del “siamo forti, siamo belli”. Sarebbe il bubolare di un altro gufo ma i lettori avrebbero un altro motivo per credere di meno agli imbonitori e di più ai sogni fatti con le proprie mani. Un libro che è la storia di una narrazione inversa all’Italia del #cambiaverso. E per dirla con Jannacci immaginiamo che la leggano i giovani start upper dell’era renziana e vediamo l’effetto che fa.
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