A fianco alla letteratura romantica e al romanzo realista, si pone, nel contesto della letteratura europea dell’Ottocento, un filone favolistico, schiettamente popolare e ricco di contenuti didascalici, che spazia dai fratelli Grimm a Achim von Arnim, da Clemens von Brentano a J. M. Barrie (l’autore di Peter Pan), fino al “nostro” Collodi. Una girandola di avventure “fantastiche” per grandi e piccini, passata sotto silenzio per lungo tempo e riemersa a stagioni alterne: allo scemare dell’interesse per l’asettico documento positivista e, successivamente, nella seconda metà del secolo passato, al termine della stagione degli scrittori engagé.
In questo filone inoltre confluiscono scrittori vittoriani, di alto livello letterario, come il socialista William Morris, autore di storie fantastiche modellate sulle saghe nordiche (ricordiamo il suo capolavoro Sigfrido dei Volsunghi), Lewis Carroll, il padre di Alice nel Paese delle Meraviglie e George MacDonald, tra i maggiori prosatori e poeti del tardo Ottocento inglese e tra i più negletti nei primi decenni del Novecento. Scrittore scozzese, MacDonald visse per venticinque anni in Liguria, precisamente a Bordighera. Discendente da un antico clan della Caledonia, MacDonald nacque il 10 dicembre 1824 a Huntly, nella contea dell’Aberdeenshire, da una modesta famiglia di piccoli imprenditori.
Riscoperta nei paesi di lingua inglese da figure di primo piano della letteratura anglofona, come G. K. Chesterton, C. S. Lewis, Tolkien e W. H. Auden, l’opera di George MacDonald è approdata in Italia, solo nel 1977, grazie al professor Giorgio Spina e, in particolare, alla traduzione da parte di questi del romanzo più rappresentativo dello scrittore scozzese: Phantastes (Anodos, nella traduzione italiana del 1977 per la Rusconi, dal nome del protagonista).
Nel necrologio di MacDonald apparso sul Daily News del 25 settembre 1905 Chesterton scriveva: “Se dobbiamo giudicare quanto a originalità di atteggiamento, George MacDonald fu uno dei tre o quattro uomini più grandi dell’Ottocento”, e definiva “arguzia celestiale” la sua facoltà immaginifica. Il mondo favoloso di MacDonald è prevalentemente desunto da quello dei romantici tedeschi, in primo luogo Novalis e poi Hoffmann, Chamisso, La Motte Fouqué, ma anche dal ciclo arturiano, da Bunyan, da Dante e dal racconto biblico. Caratteristica principe degli scritti di MacDonald è l’affollamento, e combinazione, dei motivi tematici degli autori presi a modello. A tutti generalmente chiede in prestito gli strumenti del meraviglioso.
Tra gli elementi topici che primeggiano negli scritti fantastici di MacDonald vi sono le scale. L’interesse di MacDonald per le scale, soprattutto per quelle a chiocciola o a spirale, si può far risalire a un motivo che dalle Carceri di Piranesi si diffuse presso i romantici, soprattutto francesi, attraverso un passo delle Confessioni di un oppiomane di De Quincey: la scala a spirale fu eletta a emblema dell’esplorazione interiore e di una angoscia claustrofobica, senza via d’uscita. In MacDonald invece la scala è la raffigurazione di un tendere verso il divino ed assume un colorito biblico, come avviene peraltro per tutta la simbologia dello scrittore. Il nerbo delle favole è la tenzone duale tra il bene e il male, con il trionfo del primo, e MacDonald non si distacca da tale topos, all’interno di una creazione fiabesca costellata di eterne verità. Nell’intreccio, permeato di echi letterari, lo scrittore cela qua e là, come gemme preziose, gli archetipi dell’esistenza umana: “eterni e immutabili – scrive Giorgio Spina – come Dio li ha contemplati nell’attimo della Creazione”.
Tra le opere dello scrittore di recente riproposte vi è il bel racconto La Chiave d’Oro, che rientra nel genere narrativo che oggigiorno va sotto il nome di “adult fantasy”. Si tratta di un viaggio allegorico-iniziatico compiuto da due fanciulli. Un’allegoria esistenziale affascinante quanto educativa per i più piccoli e ricca di insegnamenti di vita, che solo il lettore adulto può cogliere. I due protagonisti, come da tradizione, si perdono inizialmente in una foresta e, solo in seguito a una serie di peripezie, attraverso valli, monti, spiagge e distese marine, e all’incontro di tre figure arcane, si ritrovano, ormai non più gli stessi, alle soglie di una grande scala. La Chiave d’Oro, nell’edizione in libreria, è accompagnata da altri tre racconti altrettanto affascinanti e ricchi di riferimenti letterari: La Principessa leggera, Il cuore del gigante e Nella Terra delle Fate.
I racconti fiabeschi sono la parte vitale dell’opera narrativa di MacDonald, che è decisamente vasta: egli, per sopravvivere, era solito scrivere due o tre romanzi di narrativa convenzionale l’anno, raggruppati in due cicli, inglese e scozzese; scritti che godettero all’epoca, intorno al 1865, di grande popolarità, al pari quasi dei romanzi di Charles Dickens e di W. M. Thackeray (La fiera delle vanità). MacDonald compose anche poesie e per poco non fu nominato poeta laureato. Tanto più è sorprendente la sua attività, in quanto era segnato dalla tisi, che combatté fino a raggiungere l’età di ottantuno anni. Visse, come già detto, a Bordighera. Qui si costruì una villa, “Casa Coraggio”, ora in Via Vittorio Veneto, che fu in seguito abitata da Edmondo de Amicis.
Si segnala infine, per approfondire la vicenda e l’opera fantastica dello scrittore scozzese: George MacDonald, il maestro della fantasia (Il Cerchio), di P. Gulisano e L. Vassallo, un saggio che invita a scoprire la “grandezza letteraria e culturale” di questo maestro del fantastico “nobile” ottocentesco, “cantore del mondo intermedio delle fate, dei giganti e degli gnomi”.
*“La Chiave d’Oro”, di G. MacDonald, (pp. 168, euro 13,00, Auralia edizioni; scontato a euro 7,50 – spese di spedizione comprese – dal sito dell’editore)