Abbiamo avuto sempre un nome amico nella storia italiana. Un nome tenuto sulle labbra quando eravamo sui banchi. O quando, per simpatia, esclamavamo ad un parente artista, “Ma che sei Giotto!” Al liceo l’interrogazione sul grande pittore era fondamentale; poi, ad Assisi, siamo andati per ammirare le storie dipinte, per raccomandarci a San Francesco; e non sapevamo che, nella basilica umbra, stavamo incontrando l’Italia, quella del santo nazionale, quella del pittore nazionale, Giotto.
Con la meravigliosa mostra “Giotto, l’Italia” ritorniamo a noi stessi. All’arte che dice chi siamo. Noi italiani siamo quelle facce vere di uomini e donne che, negli affreschi della Cappella degli Scrovegni, vivono la realtà a volte sbalorditi, spesso diffidenti. Anche così nasce lo stile italiano. E da qui comincia il rinnovamento della tradizione classicistica fatto da uomini di bottega. Con Giotto nasce l’Italia comunale, il paese degli artisti e dei mercanti che conquistarono l’Europa. Pertanto, siamo rimasti sempre attratti dalla figurazione del grande pittore e in questi giorni siamo affascinati dalla mostra milanese che presenta notevoli meriti: raccoglie quattordici opere e costruisce un percorso in cui le tavole giottesche indicano un sublime simbolismo anche attraverso l’allestimento.
Nel Palazzo reale, con didascalie trascritte in terra. Con la calda e limitata luce esaltante il riflesso delle dorature delle tavole. Al visitatore non rimane che il silenzio stupefatto. E colpisce il significato di questa iniziativa milanese: ripartire dai grandi maestri; valorizzare la magnifica tradizione medievale; esportare la koinè italiana. Quale? Quella che si percepisce nell’opera ‘Il Dio Padre in trono’; quella del polittico bifronte destinato alla cattedrale di Santa Reparata; quella del frammento dei due apostoli, ossia un linguaggio che riferisce verità e concretezza. E Giotto fu uomo razionale. Lucido e schietto. Un italiano arguto con la battuta pronta, come riferiscono le antiche cronache.
Così il tutto artistico è reale, anche nei suoi paesaggi, nei quali i personaggi si mostrano e non sono mica decorazioni bensì uomini autentici che furono santi, papi, sovrani, guerrieri e mendicanti. Questa mostra sa rappresentare l’artista all’inizio ma anche alla fine della sua carriera. Quindi, quattordici opere di un maestro universale per narrare un fascino figurativo segnato dalla finezza dei profili degli angeli nel polittico Baroncelli. Gli esperti ricordano che questa esperienza è costata un grande sforzo e una straordinaria collaborazione tra le istituzioni pubbliche e i privati. E ci dicono che il Comitato scientifico, con il suo presidente Antonio Paolucci, ha dimostrato la capacità italiana di creare eventi. Da queste esperienze è quindi necessario ripartire per rileggere un racconto italiano trascurato dalle istituzioni culturali che, per anni, hanno fatto poco.