Cari amici di Barbadillo,
a integrazione di quanto degnamente scritto da Antonio Fiore sulla figura di Emilio Bianchi, vorrei aggiungere alcune notizie che forse faranno piacere ai nostri lettori. Palombaro secondo capo, ovvero sottufficiale, Bianchi nell’impresa di Alessandria era in coppia con il tenente di vascello (grado equipollente a quello di capitano nell’esercito)Luigi Durand de la Penne a bordo di un siluro a lenta corsa 221 (per gli intimi, “maiale”). Penetrati nella baia di Alessandra approfittando del fatto che la rete di protezione era stata aperta per consentire l’uscita di alcune imbarcazioni, cominciarono i lavori di apposizione delle cariche sulla chiglia della corazzata Valiant. Bianchi iniziò l’opera, ma fu costretto a interromperla perché intossicato dopo ore di lavoro dal respiratore. Emerse e fu fatto prigioniero. Gli subentrò Durand de la Penne e portò a termine l’impresa. Quando emerse fu fatto prigioniero anche lui.
Le angherie subite dagli inglesi
Il comandante inglese, il cui nome non merita di essere ricordato, li interrogò pesantemente, “la pistola sul tavolo”, e li minacciò, se non avessero rivelato che cosa avevano fatto, di lasciarli chiusi in una “cala” (piccolo magazzino ermeticamente chiuso) sotto la linea di galleggiamento. Se la corazzata fosse affondata, sarebbero morti affogati. Né lui né il suo ufficiale parlarono. Solo, una mezz’ora prima della prevista esplosione, Durand de la Penne informò il comandante che la nave sarebbe affondata per fargli portare in salvo l’equipaggio. Il comandante inglese per riconoscenza minacciò di lasciarli chiusi dentro la “cala”, se non avessero rivelato il punto in cui era stato collocato l’esplosivo. I due eroi non parlarono e il comandante inglese diede seguito alla minaccia. Forse le convenzioni internazionali non l’avrebbero permesso, ma per i crimini di guerra pagano sempre e soltanto i vinti…
Bianchi e il suo ufficiale si salvarono per una serie fortunata di circostanze. La nave non si spezzò in due, né prese fuoco, ma si adagiò sul fondo. La violenza dell’esplosione scardinò la porta della loro prigione e riuscirono a mettersi in salvo.
Bianchi divenne prigioniero non cooperante
Furono fatti di nuovo prigionieri e nella prigionia emersero le divergenze fra i due. Bianchi era un valtellinese tosto e non accettò di cooperare dopo l’8 settembre con gli ex nemici: fu un “non”. Rivide solo nel 1945 la moglie, che aveva lasciato con le doglie, e la prima figlia. Durand de la Penne, un aristocratico genovese, monarchico, ufficiale di complemento passato da poco in Spe, invece accettò e passò a Mariassalto, l’equivalente della Decima Mas nel Regno del Sud. Agli inglesi non aveva serbato rancore per averlo lasciato ad affogare, ma perché l’avevano spogliato di tutto al momento della cattura, dall’orologio di precisione al berretto di lana che gli aveva cucito la moglie. Si lasciò persino appuntare sul petto dal comandante britannico la medaglia d’oro che gli era stata concessa, ma pare che l’iniziativa sia stata del principe Umberto, cui comunque non avrebbe potuto dire di no.
Terminò la carriera da capitano di fregata
Dopo la guerra Bianchi ebbe vita schiva. Decorato di medaglia d’oro, come Durand de la Penne, passò ufficiale e finì la carriera come capitano di fregata. Trascorse la sua lunga vecchiaia a Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio, dove divenne un’istituzione. Nel 2000, con il Centro Studi Atesini, ha pubblicato il suo diario di guerra e prigionia. La figlia gestiva e gestisce ancora uno stabilimento balneare che ne porta il cognome.
Durand de la Penne intraprese una ventennale carriera parlamentare, prima nella Dc, poi, nel 1963, per opposizione al centrosinistra, nel partito liberale. Fu sottosegretario fra il 1972 e il 1973 nel cosiddetto governo Andreotti –Malagodi, in cui il Pli tornò al governo. Porta il suo nome la legge che consentiva agli ufficiali che ne avessero maturato i requisiti il passaggio al grado superiore al momento del congedo.
I funerali a Torre del Lago, alla presenza del capo di stato maggiore della Marina
I suoi funerali, a Torre del Lago, nella chiesa parrocchiale, sono durati due ore tanto era il concorso di folla. La bara è stata portata a spalla dai militari del Comsubin, i moderni incursori, alla presenza del capo di stato maggiore della Marina e di rappresentanze di tutte le Armi. Mancava il ministro Pinotti, che comunque ha avuto nel ricordarlo parole che le fanno onore. Sarebbe stato bello, però, che la Rai o una Tv privata avessero mandato in onda per l’occasione I sette dell’Orsa Maggiore, la pellicola che nel 1953 fu dedicata all’impresa di Alessandria con cui ci facemmo rispettare dagli inglesi. Ma avrebbe avuto un senso, oggi che non riusciamo a farci rispettare nemmeno dagli indiani?