Jeremy Corbyn è l’uomo che non ti aspetti. Il superfavorito per la corsa alla leadership del partito laburista britannico sembra già fuori contesto per l’età. In una politica europea che punta sempre più sul rinnovamento, un 66enne non è esattamente in linea, anagraficamente parlando, con i nuovi leader che appaiono sulla scena continentale, soprattutto a sinistra, dove ultimamente sono emersi i Renzi e gli Tsipras. Eppure Corbin, con alle spalle un passato di sindacalista e di militante nei movimenti pacifisti, è forse il più innovativo di tutti in termini programmatici.
Non per niente il suo primo bersaglio è stato l’osannatissimo ex premier laburista Tony Blair, che per l’aspirante erede dovrebbe essere chiamato a rispondere di crimini di guerra per il conflitto in Iraq, conflitto che Corbin ha definito “illegale”. Per chi conosce le vicende della politica britannica, è raro imbattersi in un rappresentante di uno dei due partiti maggioritari che si permetta di criticare le decisioni dell’alleato statunitense.
Ma questa non è l’unica sorpresa. Nel Paese che, già nel 1917, vide la proclamazione della famosa “dichiarazione Balfour”, forse la prima pietra nella costruzione del futuro stato di Israele, Corbin si proclama invece apertamente quale sostenitore della causa palestinese, avendo pubblicamente aderito alla Palestinian Solidarity Campaign.
Non solo, ma nell’ultraliberista e protestante Inghilterra, terra del fenomeno Margaret Tatcher, Corbyn ha da sempre e coerentemente sostenuto la rinazionalizzazione dei servizi pubblici e l’introduzione di un reddito di cittadinanza, posizioni queste sostenute tutt’ora. Di lui si ricorda anche l’invito, nel 1984, al presidente del partito
indipendentista irlandese del Sinn Fein Gerry Adams, invito replicato nel 1996 e poi cancellato su pressioni da parte della segreteria del Partito Laburista. La questione irlandese è sempre stata nel cuore di Corbyn, tanto che fu criticato per aver organizzato delle riunioni in sede parlamentare con esponenti dell’Ira per discutere la situazione delle prigioni dell’Ulster e per le sue aperte prese di posizione a favore di un’Irlanda unita e indipendente dalla Corona britannica. Ciliegina sulla torta, Corbyn ha dichiarato apertamente anche di appoggiare la Russia di Putin in merito alle vicende relative alla crisi ucraina.
All’inizio nessuno scommetteva una sterlina su un candidato del genere. Eppure Corbyn è riuscito a incassare il sostegno di 35 parlamentari necessario a candidarsi alla leadership e adesso vola nei sondaggi. Secondo il Daily Mirror, Corbyn avrebbe il 42% dei voti contro il 22,6% di Yvette Cooper, il 20% di Andy Burnham e il 14% di Liz Kendall, gli altri candidati. Le schede per le primarie labour verranno spedite il 14 agosto e i risultati saranno annunciati il 12 settembre.
All’interno del Partito laburista, la corsa di Corbyn è vista con sospetto, tanto che alcuni esponenti stanno spingendo Burnham e Kendall a votare per la socialdemocratica Yvette Cooper, in modo da non generare un radicale cambio di prospettive e programmi nel partito. Ma quello che piace ai piani alti non piace alla base militante, che invece adora Corbyn e riconosce nelle sue idee un ritorno alle politiche tradizionali della sinistra socialista. Non per niente il parlamentare 66enne ha già incassato il sostegno di due importanti unioni sindacali.
E, se la vittoria del socialista mai rinnegato Corbyn sembra potersi realizzare, questa potrebbe essere la più grande sconfitta per la socialdemocrazia liberale europea nel Paese che le ha dato i natali: la Gran Bretagna. Così, mentre in Italia Renzi parla a una sinistra liberista, anglofona e tecnologica, che ama gli Erasmus e Steve Jobs, oltre Manica il Partito Laburista si prepara, forse, a voltare verso un passato mai così attuale.