Signor de Benoist, Jean-Marie Le Pen, privato della sua presidenza onoraria, poi escluso dal gruppo che il Front National ha costituito nel Parlamento europeo, dopo essersi dichiarato “in guerra contro Florian Philippot”. E’ questo è il conflitto familiare che ricomincia?
I giornalisti e la gente di destra hanno un punto in comune: la loro tendenza irresistibile a trasformare i soggetti politici in soggetti di “persone”. Con la guerra delle generazioni nel FN, si sono visti il padre contro la figlia, la figlia contro il padre, il confronto con gli Atridi, con il re Lear di Shakespeare, con Dallas, e non so ancora con chi altri. Dopo di che, si sono divertiti a distribuire buoni e cattivi voti “Marine la parricida”, la “bella Marion”, il “cattivo Philippot”, il “fedele Gollnisch” ecc. Tanta infantilità, quando si era davanti a una questione di principio assai semplice. Nessun partito politico può ammettere che uno dei suoi membri faccia delle proposte che possano nuocere alla linea che ha adottato. Ciò vale per i semplici aderenti quanto per i dirigenti. Se Marine Le Pen non si fosse attenuta a questo principio, non avrebbe dimostrato pietà filiale, ma nepotismo. Jean-Pierre Chevenèment, quando lasciò il governo, disse che “un ministro blocca la sua bocca o se ne va”. Se Jean-Marie Le Pen era in disaccordo con gli orientamenti del partito che ha fondato, avrebbe fatto meglio a dare le dimissioni. Ciò gli avrebbe risparmiato inutili umiliazioni. Attenersi alle questioni personali è una delle peggiori maniere di concepire la scienza politica.
E cosa ci dice la scienza politica?
Ci dice innanzitutto che il grande fenomeno politico di questi ultimi anni è l’emergere di un populismo di popolo, che i partiti populisti si stanno sforzando di catturare. E che il populismo non è l’“estrema destra”, come pigramente ripetono i fautori dell’ideologia dominante. Negli anni Trenta, le leghe nazionaliste opponevano delle idee di destra ai partiti di sinistra. Il populismo oppone il popolo alle élite, che non è affatto la stessa cosa. Capire in cosa il Front Narional è cambiato, è comprendere che ha cessato di essere un movimento nazionalista per trasformarsi gradualmente in partito populista. Beninteso, c’era già del populismo nel vecchio FN, come vi è ancora del nazionalismo nel nuovo. Ma l’accentuazione non è la stessa. Che una certa destra non vi si riconosca più è del tutto normale. Questo spiega le reazioni di Jean-Marie Le Pen, come quelle di Gollnisch, dal momento che la loro logica ha fatto il suo tempo. Restano attaccati a forme e temi che l’attuale ondata di populismo ha completamente superato”.
Il fatto è che il FN non ha amici a destra…
Dopo la scomparsa di Ras l’front, i due giornali più ostili al Front National sono Rivarol e Minuit, che dovrebbe quanto meno far riflettere. Per quanto riguarda Valeurs actuelles, che è stato appena venduto all’affarista franco-libanese Iskandar Safa, l’uomo più ricco del Libano, dopo la famiglia Hariri, contro il quale un mandato di cattura internazionale era stato emesso nel 2002 ed al quale fu proibito il soggiorno sul territorio francese per diversi anni, il suo amministratore delegato, il “Giovane leader” Yves de Kerdrel, grande amico di Emmanuel Macron, ha intenzione di farne nei prossimi mesi il giornale di propaganda di Sarkozy.
Viene evocato un FN che sarebbe di sinistra nel nord della Francia, e di destra nel sud. Ciò implica strategie contrastanti o complementari?
Queste distinzioni sono superate. I nostalgici del vecchio Front National non hanno compreso a che punto la sociologia elettorale è cambiata. Il cuore del target del FN, è la “Francia periferica” (Christophe Guilluy), la Francia “disconnessa”, quella dei centri rurali, urbani e periurbani che, lontani dalle grandi metropoli, dove si continua a creare ricchezza, danno riparo ai “perdenti della globalizzazione”, cioè categorie popolari socialmente più deboli: lavoratori, impiegati, pensionati, giovani, ecc. ossia il 60 per cento della popolazione. Queste persone, che portano il peso degli effetti della disoccupazione, della deindustrializzazione, della deflazione dei salari, dei “piani sociali” e della precarietà, non se ne importano affatto della differenza destra-sinistra e le divergenze reali o percepite tra Marion Maréchal-Le Pen e Florian Philippot.
Contrariamente a quanto di dice, queste non sono persone che rifiutano la politica, ma che rifiutano l’attuale classe politica (i partiti detti “di governo”, protetti dall’elettorato), il che è molto diverso. E contro cosa reagiscono, non è tanto le minacce alla loro identità quanto la decomposizione della socialità, della comunità di costumi che è loro propria sotto il triplice effetto della mondializzazione, dell’”integrazione europea” e dell’immigrazione – cui si aggiungono anche riforme “della società” ispirate da un profondo individualismo (“la sinistra non difende più che i valori individualisti”, ha recentemente rimarcato Jacques Julliard). Come dice Vincent Coussedière Vincent, uno dei rari autori contemporanei (Guy Hermet, Marco Tarchi e alcuni altri) ad aver capito la sua vera natura, il populismo, che “corrisponde a questo momento della vita delle democrazie, dove il popolo comincia a malincuore a fare politica, perché disperato dall’atteggiamento dei governanti che non la fanno più”. Tutto qui.
Intervista a Alain de Benoist comparsa su sulla rivista Elements. [Traduzione di Manlio Triggiani]