E’ in corso nella splendida cornice del Museo d’Arte della città di Ravenna la mostra “Il bel paese” con sottotitolo “dal risorgimento alla grande guerra, dai macchiaioli ai futuristi”. La mostra, curata da Claudio Spadoni con oltre un centinaio di capolavori, terminerà il 14 giugno 2015 e si snoda per sezioni tematiche, iniziando con alcuni straordinari dipinti di Induno, Fattori, Guaccimanni, Lega dedicati all’epopea risorgimentale e proseguendo via via con altri che rappresentano vedute e suggestivi paesaggi, mestieri e tradizioni ed aspetti sociali di quello che Dante in un celebre canto dell’Inferno (“del bel paese là dove ‘l sì sona”) e Petrarca con connotazione più geografica (“il bel paese ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe”) definirono per primi il bel paese, per terminare con alcuni dipinti e sculture di artisti futuristi quali Balla, Carrà, Boccioni, Russolo realizzati nei primi del ‘900 fino alla Grande Guerra, che segnano una rottura con la sensibilità ottocentesca ed una sorta di spartiacque tra le due epoche. Spigolando qua e là, segnaliamo (ma si tratta di personale gusto e sensibilità) Manovre militari, 1885-1890, un olio su tavola del maggiore esponente dei Macchiaioli, Giovanni Fattori, da cui traspare una certa malinconia e una fusione dell’elemento umano con quello paesaggistico; la magnifica Fanciulla sulla roccia a Sorrento, 1871 di Filippo Palizzi che è stata prescelta per la sua intensa espressività quale icona nel manifesto della mostra; la diffusa sensualità del Balcone del palazzo Ducale, 1880-81, di Giacomo Favretto; la classica bellezza delle Fanciulle al bagno di Nandor Rakosy e della Bagnante, 1863, di Francesco Rosaspina; l’installazione di Giacomo Balla Complesso plastico colorato di frastuono + velocità, 1914, il Dinamismo di un treno in corsa nella notte, 1911, e la Donna al balcone di Carlo Carrà, che fedeli al motto futurista che “non v’è più bellezza se non nella lotta” introducono il movimento nell’arte pittorica; la consapevolezza e la pietas nel conflitto mondiale è rappresentata dagli straordinari olii su tela di Giacomo Balla Paesaggio + velo di vedova, 1916, e Insidie di guerra, 1915; per finire con l’emozionante gesso policromo di Arturo Martini Fiaba del 1918. La mostra è un atto d’amore per la nostra storia e la nostra terra (oggi che è minacciata sempre più dai venti della globalizzazione, della speculazione e dell’immigrazione selvaggia). Possiamo a questo proposito citare a mo’ di commento finale le parole di un altro grande artista del Novecento, che ben avrebbe figurato in questa mostra, Ardengo Soffici: “Dire del mio amore per l’Italia: immenso, assurdo, perfino. Amore di tutto l’essere, spirito e carne: poesia, arte, cielo, terra, donne, animali, frutti, paesi stagioni; tutto, anche i suoi atroci difetti, m’è caro di lei fino alle lacrime”.