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Esteri. Il caso dei due marò tornati in India ci fa rimpiangere Mattei, Craxi e persino Andreotti

by Adriano Scianca
22 Marzo 2013
in Corsivi
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MaròC’è un punto, nella tragicomica vicenda dei Marò, che sembra non essere chiaro a molti. Il punto è che i due poveri pescatori indiani uccisi, ormai, c’entrano davvero poco in questa storia. Così come non c’entra  la simpatia o l’antipatia che ciascuno può provare per Latorre e Girone come persone o come soldati, per lo Stato che rappresentano e per l’istituzione che incarnano. Così come non c’entra la simpatia o l’antipatia che ciascuno può provare per l’India, la sua civiltà o il suo governo.

Essendo una nazione sovrana e avendo una politica estera, l’India fa il suo sporco gioco. Con il bastone e con la carota, con la legge e con la furbizia, con la diplomazia e con le spacconate. Come è naturale che sia, come è sempre stato. Nuova Delhi sembra avere ben chiaro quello che invece a Terzi, a Monti, ma anche a tanti pseudoanticonformisti e ai soliti anti-italiani di casa nostra sfugge, e cioè che il fulcro attorno a cui ruota tutta questa vicenda è l’onore nazionale. Se il concetto suona retrò chiamiamola “autorevolezza”, che poi doveva essere uno dei motivi fondamentali per cui affidarci a Monti: ritrovare “autorevolezza”. Non avevamo capito, noi stolti, che con questo termine si faceva riferimento al masticare con la bocca chiusa durante i vertici Ue e all’abbandono delle barzellette come arma diplomatica. Insomma, questioni di etichetta, che non a caso e la prima e unica preoccupazione dei maggiordomi.

L’onore della nazione: da queste parti sembra di parlare una lingua antica e superata, ma per ritrovare il concetto al centro delle preoccupazioni di uno Stato non occorre andare con la memoria al mondo pre-1945. Che lo crediate o no, ragionano così anche la maggior parte delle democrazie d’Occidente a cui diciamo di ispirarci. Che lo crediate o no, ragionavano così anche gli esponenti dell’Italia di qualche anno fa. Quella, per intenderci, in cui avevamo ancora una politica estera.

Mattei, Craxi, persino Andreotti, do you remember? Ma del resto noi la sudditanza ce l’abbiamo nel cervello e l’8 settembre ce l’abbiamo inciso nel cuore. È per questo che, quando qualcuno ha proposto di sbattere i pugni sul tavolo nei confronti dell’India, le reazioni sono state tra lo sbigottito e il sarcastico: «E cosa volete fare, dichiarare guerra all’India? ». Chissà se qualcuno rivolse la stessa obiezione a quel presidente del Consiglio che schierò i carabinieri contro i marines, a Sigonella… Siamo così disabituati alla sovranità che ogni legittima rimostranza ci sembra subito caricaturale, quasi che un politico che voglia farsi rispettare debba automaticamente assumere le sembianze dei folli guerrafondai da film. Abbiamo disimparato l’abc della politica estera e della diplomazia, che è fatta anche di irrigidimenti, di fermezza, di scontro ritualizzato, di gesti simbolici. Ovunque, tranne che da noi. Ma se così dev’essere, allora tanto valeva farla davvero quella guerra. Se proprio dobbiamo cessare di essere una nazione, meglio farlo sotto missili nucleari che portano i nomi degli antichi dei che nella lenta agonia di questo paese di sciuscià.

Adriano Scianca

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