Vediamo un po’, oggi potrei andarmene in giro a cercare Fedez – un rapper brufoloso che ci fa rimpiangere «Gimme five!» di Jovanotti – e magari tirargli un paio di sberle, dopodiché potrei dirgli: «Ma che vuoi, che cos’è un ceffone in confronto alla fame nel mondo?».
Lui chiamerebbe l’ambulanza ma io insisterei: «Un ceffone non è niente se pensi ai bambini del Burundi». Al che mi porterebbero alla neuro e pure in fretta, ma in ambulanza vorrei anche lui, Fedez – purché non canti – e questo perché ieri ha sparato cazzate ancora peggiori delle mie: «I danni dei NoExpo», ipse dixit, «sono poca cosa in confronto alle infiltrazioni mafiose e le speculazioni economiche».
(Parentesi: la fame nel mondo almeno è una cosa seria, Fedez invece non sa neppure di che parla).
Pazienza, è un modo di farsi notare – accontentato, ci siamo cascati – ed è un modo di schierarsi coi minorati che giovedì hanno imbrattato muri e danneggiato vetrine.
E voi direte: ma stai a occuparti di un rapper per bambine? Giusto, ma occorre capire che il livello – quello dei vandali NoExpo – è esattamente quello, bisogna farci i conti, e capirli, adottarne il linguaggio, lasciarli liberi di esprimersi: magari durante l’ora d’aria.
I decerebrati NoExpo hanno il loro menestrello: che ieri, poi, ha aggiunto: «Gli edifici imbrattati sono proteste, non vandalismo». E qui tirerei la terza sberla, perché non sono sberle: sono proteste anche le mie.
E non c’è niente da capire, cantava uno che cantava davvero.