Trionfa il “modello Sicilia”. O almeno così sembra. L’Ars, il parlamento autonomo della regione Sicilia, approva l’estinzione delle Province. È il primo Ente a farlo. Questo è un “fatto”, sia storico che politico. Rosario Crocetta ha raggiunto l’obiettivo. La prima tappa della tanto propagandata “rivoluzione” targata megafono è stata raggiunta. Vincono pure i grillini, che da sempre vedono nelle province non solo una entità inutile, ma un vero e proprio “male assoluto”, un tumore da estirpare.
Dopo 150 anni, dunque, scompaio le province dalle cartine geografiche isolane. Un ente sacrificato dinnanzi ai dettami del populismo 2.0. Sostituiti da una entità apparentemente nuova, quella dei liberi consorzi tra comuni. Peccato però che questa dicitura abbia ben poco di originale. Poiché le province siciliane, almeno dal 1987, sono già dei liberi consorzi. In quell’anno tutti i comuni della regione votarono la propria libera adesione alle Province. Sembrerà strano, ma questa è storia. Oggi però si chiede che ogni 150.000 abitanti ce ne debba essere uno. Tradotto in numeri, significa che ne nasceranno almeno trentatré. Un po’ troppi rispetto ai nove già esistenti. E pensare che fino a ieri sembrassero già tanti. Un esito aritmeticamente grossolano se si pensa che lo spirito che ha animato Crocetta e grillini aveva in mente bene altra finalità, quella cioè di ridurre gli sprechi. Infondo, se la storia è fatto di cicli e ricicli, non è difficile pensare che in futuro, anche queste nuove entità, saranno soggette a divenire delle grigie centrali burocratiche.
Intanto però i dipendenti delle province attualmente esistenti non potranno essere licenziati. In quel caso scoppierebbe sì la rivoluzione. Verranno spalmati invece tra comuni, Regione e apparati affini. La spesa corrente resta, ma svuotata di competenza. Il rischio è vedere nuovo personale stipendiato a vagare negli uffici come dei fantasmi. Colpa loro? Affatto. Ma capiamoci, in una semplice automobile, c’è spazio per un solo autista a libro paga. Un eventuale secondo, servirebbe solo a drenare risorse.
C’è poi un altra questione che fa rabbrividire, e non poco. I vertici dei liberi consorzi verranno votati dai consiglieri dei comuni aderenti. Si chiamano elezioni di secondo grado. Un evidente passo indietro rispetto alla democrazia diretta e alla tanto propagandata democrazia digitale sognata dai grillini. Un ritorno a quelle scelte partitocratiche che hanno sbranato la prima repubblica. Basterebbe questo per saltare dalla sedia chiunque. Ma non avviene. Infondo, non è la prima volta che in nome della democrazia viene messa in crisi la stessa rappresentatività democratica e il diritto di tutti alla partecipazione alla cosa pubblica.
Qualora ci fosse stata realmente nel cuore dei grillini la lotta agli sprechi e al professionismo della politica, si sarebbe potuto optare su ben altri provvedimenti: ridurre le indennità, i premi ai dirigenti, i consiglieri provinciali, aumentando, magari, le competenze delle stesse provincie (edilizia scolastica e manutenzione strade sono effettivamente poca roba). Provvedimenti anch’essi rivoluzionari. Ma non di moda. Di sicuro c’è solo che oggi, a scagliarsi contro certe riforme così contraddittorie, può nuocere assai gravemente all’immagine di chi le formula. Essere tacciati di conservatorismo è un esito scontato, soprattutto davanti a tanto isterismo digitale. Ben venga, però. Come è bene accetto pure il richiamo all’articolo 114 della Costituzione: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Crocetta, Bersani e Grillo, pallottoliere alla mano, non hanno ancora i numeri necessari per cambiare la carta fondamentale, né a Palermo e né a Roma.