Bella storia o storiaccia? Enrico Oliveri o il suo gemello? Il crack emotivo di un leader d’opposizione e la nemesi gemellare sono al centro di “Viva la libertà” di Riccardo d’Andò. Tony Servillo non recita, centrifuga ogni categoria. Magistrato altero e sussieguoso, dal cipiglio che reclina in birignao fugge dalla pazza folla di chi ci crede e, di solito, viene utilizzato per spostare le piante di ficus dietro il palco di leader e leaderini. Si autoesilia, va a Parigi e poi…mettete mano al portafogli e andate al cinema.
Finalmente un film non banale e grondante retorica sul prezzo salatissimo o gioiosissimo dell’indignazione, del risentimento, del disincanto. Un leader gauchista, amato, riverito, omaggiato s’inceppa e non riesce più a disegnare il contorno del personaggio, umanamente, troppo umanamente non convertendosi a persona. “Spassionato”, svilito dal mettere insieme il pranzo scipito con la cena lauta dell’accordo e del disaccordo, della faida, della camarilla, della tifoseria, del gran ballo delle aspettative della “base” o della “piazza” che, inevitabilmente, risulta delusa da chi voterà. La soluzione? La trova un tal Bottini (Valerio Mastrandrea). Recuperare il gemello incontrollabile e depresso che, sotto pseudonimo, parla di “catastrofe”, perché la vive tanto da dedicarle il primo comizio. D’un tratto abbattendo uno dei più grandi taboo della cultura politica contemporanea: la passione. Allo scazzo si sostituisce la profezia. Al mito incapacitante, la joie de vivre.