Vorrei denunciare un recente crimine di guerra, ancora una volta a carico del generale George Smith Patton, già noto per varie intemperanze che, in altri tempi e con altre divise, gli sarebbero valse Corte Marziale, processi stile Norimberga, pena capitale e damnatio memoriae. Invece niente: il generale Patton (1885-1945), l’uomo che incitava i suoi soldati (che gli obbedirono scrupolosamente) a non fare prigionieri ad esempio in occasione dello Sbarco in Sicilia – dettagli qui: suw ww.storiainrete.com – gode tutto sommato di buona stampa. E ne approfitta per continuare ad infierire, come e quando può. L’ultimo “colpo” l’ha messo a segno pochi giorni fa, nel silenzio della stampa e nell’indifferenza della pubblica opinione. La cosa dovrebbe far scalpore invece perché si è trattato di un’azione particolarmente odiosa e vile in quanto portata a danno di un bambino. Un bambino di soli otto anni, di nazionalità italiana (ascendenze comprese, dettaglio rilevante perché di questi tempi “cittadini italiani” ormai lo sono tutti anche quelli che cinque anni fa vivevano dall’altra parte del mondo e insistono a non spiccicare o quasi una parola di italiano). La giovane vittima si chiama Giacomo, frequenta la seconda elementare e, ogni tanto, complice anche uno zio un po’ fissato, entra in contatto con la Storia, con un documentario, una spiegazione, dei soldatini… Qualche tempo fa – le indagini sono in corso e alcuni dettagli ancora mancano – approfittando di un momento di distrazione dei genitori, Giacomo ha acceso la televisione ed ha visto un documentario sul generale Patton. Pochi minuti – tanto dura l’attenzione di un bambino -, qualche frase ad effetto, immagini sapientemente montate come sanno fare gli americani e il crimine è stato compiuto: George Patton, come un carro armato è il caso di dire, non solo è entrato nel Pantheon dei Miti di Giacomo, ma ne ha scalato in un sol balzo la classifica, andando a collocarsi direttamente in vetta. La celebrazione del trionfo si è avuta in un tardo pomeriggio infrasettimanale quando, in occasione del suo ottavo compleanno, Giacomo ha raccolto i suoi amichetti preferiti e ha spento le candeline sulla torta. Una torta non innocua perché, secondo le mode recenti, “arricchita” da una foto su glassa del noto criminale di guerra. E’ stata la stessa “vittima/festeggiato” a chiedere, memore anche di una visita estiva sui campi di Normandia, di omaggiare il generale californiano con tanto di bandiera a stelle e strisce,.
Sguardo fiero, frustino in mano, divisa impeccabile e revolver in bella vista, Patton ha sobriamente partecipato al genetliaco del giovane fan, sapendo di assaporare una nuova vittoria, vile e importante ad un tempo perché nell’innocenza le radici/artigli della propaganda penetrano con facilità e con altrettanta facilità si fissano. Ora, non dico che Giacomo invece di Patton avrebbe potuto chiedere la foto di quel bisnonno che tornò da Vittorio Veneto con due medaglie guadagnate sul campo senza la protezione di carri armati e senza aver infierito su nessun nemico, ma se proprio ad un personaggio storico voleva richiamarsi idealmente perché non pensare ad un Garibaldi, ad un Pisacane, ad un Francesco Baracca, ad un Luigi Rizzo o ad altre migliaia e migliaia di nomi? Ovviamente la colpa non è di Giacomo – la cui “rieducazione” è già stata avviata – ma di un sistema mediatico che veicola modelli mitici d’importazione. Questo accade per mille ragioni concomitanti, agevolate dall’assenza non dico di un disegno di segno opposto ma di una pur minima “sensibilità”. Ma una cosa mi è sembrata importante: Giacomo, pur “vittima” di Patton, è sfuggito – almeno fino ad adesso – alla “rieducazione di genere” tanto in voga nelle nostre scuole. Non hanno ancora provato a farlo vestire da donna, a giocare con le bambole, a preferire il colore rosa: istintivamente Giacomo, come molti suoi compagni, fa sport maschili (come il rugby), è attirato dalla tecnica (macchinari edili o carri armati), gli piacciono anche video giochi, divise, armi giocattolo e soldatini e tutto questo (incredibile ma vero) non ha fatto di un bambino intelligente, straordinariamente sensibile, ironico e vivace un violento e un prevaricatore. Ma se le divise a disposizione sono solo quelle dei commandos americani che succede? Idem per i modellini di carri armati, jeep e aerei. E se i soldatini – gli unici che si trovano in edicola o nei negozi – sono riproduzioni più o meno felici dei Marines? Poco importa che poi tutto sia stato fatto in Cina: il fatto è che la busta che contiene un centinaio di soldatini, metà verdi e metà beige, ha anche due grandi bandiere intorno alle quali schierare i due eserciti: una bandiera è inglese, l’altra è americana. Poco importa che inglesi e americani non si facciano la guerra da circa due secoli. E’ solo un gioco no? «Io tengo gli americani e tu gli inglesi» suggerisce l’ignoto produttore cinese che esporta in Italia i suoi soldatini anglo-sassoni (un’altra faccia della globalizzazione, culturalmente e storicamente confusionaria e distratta per costituzione). Il massimo della trasgressione è quando lo scontro si sposta in età napoleonica e allora gli eserciti sono francese e inglese. E così, basta il documentario giusto al momento giusto, e ci si ritrova col generale Patton sulla torta di compleanno.
Ed eccoci alla morale della storia: cittadinanza e senso appartenenza si determinano anche durante le ore di svago e non solo a scuola. La strada è difficile e in salita: non esiste nulla – tranne qualche cosa che richiami i legionari romani, sempre “made in Cina” – che possa aiutare, col gioco o in tv, a far conoscere ai ragazzi che so… i capitani di ventura o i garibaldini, i “ragazzi del ‘99” che andarono sul Piave, i ragazzi di Bir El Gobi o quelli delle Brigate Garibaldi. Storicamente e statisticamente, l’unica mitologia che in Italia riusciamo a concepire e promuovere è quella della criminalità (la Mafia anche sulle magliette per turisti, Gomorra o la Banda della Magliana che è pure sugli accendini dal tabaccaio). Il progetto da affrontare dovrebbe essere culturale e imprenditoriale, politico e strategico, richiederebbe qualche pomeriggio di riflessione da togliere al dibattito su “Primarie sì, primarie no”, “Centrodestra sì, centrodestra no”. Ma c’è qualche esponente politico o qualche imprenditore che si renda conto che l‘offensiva contro l’identità è già in corso da anni e non è combattuta solo nelle scuole o in libreria ma anche in edicola, in televisione, sul web, nei negozi di giocattoli, al cinema? Una vera fabbrica della cultura non conformista dovrebbe prendere le mosse da queste considerazioni e provare ad organizzarsi su queste basi, consapevole che il mondo berlusconiano non può, non sa e non vorrà mai percorrere strade di questo tipo e che, sull’altro fronte, la cultura “antifascista” (dove la componente cattolica è stata ben presente, specie nella fase di decomposizione) in pochi decenni ha avuto l’esito finale di “disarmarci” moralmente e culturalmente oltre che politicamente, lasciandoci inermi e passivi di fronte alle sfide della globalizzazione che è economica in superficie ma coinvolge soprattutto le coscienze e le anime modificando il nostro “immaginario collettivo”. Anni di retorica resistenzialista non hanno prodotto un solo soldatino di plastica che raffiguri un partigiano, così come 150 anni di unità d’Italia non hanno lasciato – se non nei negozi dei collezionisti – soldatini del Regno d’Italia, dei Mille in camicia rossa o dei soldati della Grande Guerra. Lo stesso può dirsi, sostanzialmente, per i fumetti, per i documentari, per i videogiochi… Giacomo contiamo di salvarlo in qualche modo, al massimo entro un paio di torte di compleanno. Ma per tutti gli altri che si fa?