Le Falkland restano, per ora, legate al Regno Unito: il referendum popolare, tenutosi nel blu dell’Atlantico domenica e lunedì, ha avuto un esito chiaro, ma non sembra avere la forza di fermare la disputa tra Buenos Aires e Londra sulla sovranità dell’arcipelago che sorge al largo dell’Argentina. Il 98,8% dei votanti ha risposto Yes alla semplice domanda stampata sulla scheda –“Desidera che le isole mantengano il loro status politico attuale, come territorio oltremare britannico?” –, ma la pasionaria leader argentina, Cristina Kirchner, non ha alcuna voglia mollare la presa su Westminster.
Il risultato elettorale, con i voti in favore dell’Union Jack accumulati scheda dopo scheda, era largamente previsto e le urne non hanno riservato quelle sorprese che solo i più inguaribili romantici argentini avevano avuto il coraggio di sognare. Le regole del gioco prevedevano che, delle quasi tremila persone che sulle Falkland vivono, potessero votare solo 1675 isolani: maggiorenni, residenti da più di un anno e con passaporto britannico in tasca.
Gioco facile per i promotori del “Sì” che hanno potuto fare incetta di voti anche grazie a queste scelte (ben studiate) da governanti ed emissari della Regina. Figli, nipoti e pronipoti degli immigrati britannici sbarcati, nei secoli, sulle vecchie Malvians hanno scelto di proteggere quella che sentono essere la loro Nazione, nonostante ettolitri di Oceano separino le loro case dal Regno Unito. La questione culturale ha avuto la meglio su quella propriamente territoriale, con buona pace della Kirchner che aveva provato fino all’ultimo a far breccia nel cuore degli isolani.
“Per competere su suolo britannico ci alleniamo su suolo argentino” recitava lo spot argentino girato per lanciare le gare degli atleti di casa durante le Olimpiadi di Londra 2012, ma il messaggio non ha avuto l’effetto sperato sugli elettori delle isole. A Buenos Aires, però, non mollano: il Presidente argentino ha detto che non accetterà il risultato referendario perché, secondo lei, quelle isole sono (e saranno) argentine. «È una questione territoriale», dice, e prospetta una battaglia diplomatica per non far sì che la questione si chiuda troppo in fretta.
David Cameron, invece, gongola: «Gli abitanti delle Falkland non avrebbero potuto esprimersi in modo più chiaro – ha detto –. Vogliono rimanere britannici. Questa volontà dovrebbe essere rispettata da tutti, compresa l’Argentina». Il governo britannico fa leva sull’autoderminazione politica dell’arcipelago e la notizia, vera, è che in Gran Bretagna l’attenzione si sia focalizzata proprio sui cittadini e sulle loro volontà.
Dopo gli anni bui della repressione in Irlanda del Nord e del Segretariato in Scozia, nel Regno Unito i cittadini tornano al centro della politica – o almeno questo accade nel fortino atlantico. La volontà di Westminster, ora, è quella di gestire l’esito di questo referendum – che ha i contorni della farsa politica – come arma di propaganda da usare con dedizione contro chi ha la ricetta giusta per abbandonare Londra e tornare a essere indipendente. In attesa del referendum scozzese del 2014, David Cameron e tutti i registi del Better Together potranno dire che, lì dove si è già votato, la scelta è stata chiara e decisa. Potranno omettere numeri, condizioni e costituzione del corpo elettorale, ma avranno la chance di piazzare sul tavolo della comunicazione politica un argomento che appare, ad occhi disinteressati, vincente. Sarà compito di tutti gli altri svelare l’arcano e continuare a girare per le strade raccontando un altro mondo possibile. Quello con il Regno Dis-unito.