Per noi ex ragazzi degli Anni Settanta, Josè Angel Iribar rimaneil volto serio di un uomo maturo nell’album delle figurine Panini. Uno con la faccia che pare scolpita nella pietra, che indossa una maglia nera e assomiglia vagamente a Zoff. Non c’erano tivù che trasmettevano le partite del campionato spagnolo, a quell’epoca. E tanto meno internet. L’immagine del mitico portiere dell’Athletic Bilbao e della nazionale spagnola era limitata a quella foto o a poche altre. Nelle quali il numero uno basco figurava sempre rigorosamente in maglia nera, come si usava a quei tempi.
Oggi Iribar è un distinto signore di 71 anni, arrivato a Torino al seguito della sua squadra, in veste di dirigente per la partita d’andata dei sedicesimi di Europa League. I capelli sono grigi, la fronte èampiamente stempiata, ma il volto rimane scolpito nella pietra. Da 52 anni il suo nome è indissolubilmente legato ai colori biancorossi dell’Athletic: prima come portiere (dal 1962 al 1980), poi come allenatore (nelle stagioni 1983-84 e 1986-87), infine in qualità di dirigente. Per undici anni ha diviso il suo incarico in seno al club bilbaino con il ruolo di selezionatore della nazionale dei Paesi Baschi.
In una bella intervista concessa a Roberto Condio, de La Stampa, Iribar ha detto cose non banali, non scontate, non comode. In poche parole, cose lontanissime da quel calcio show-business che tanto piace agli sponsor e alle pay-tv. Del resto dal portabandiera dell’unica società al mondo che manda in campo soltanto giocatori baschi prodotti dal vivaio, che altro ci si poteva aspettare? Non a caso l’ex portiere, interpellato in proposito una quindicina d’anni fa, alla domanda «Ha senso, con l’Europa unita, far giocare solo i baschi?», era stato quasi profetico: «Rispondo con un’altra domanda: ha senso che ci siano squadre con due o tre spagnoli su undici? Di questo passo l’unica squadra solo spagnola saremo noi, pensi com’è buffa la storia».
Ecco alcuni estratti dell’Iribar-pensiero
Sull’AthleticBilbao
«Manteniamo la stessa filosofia da 117 anni e continuiamo a competere con successo. Sì, vale la pena essere dell’Athletic. Io, tra giocatore, tecnico e adesso dirigente, sono arrivato al 52º anno. Questa è la mia seconda famiglia. Un club democratico e ben organizzato. E abbiamo un fortissimo senso di appartenenza e identità».
Sul vivaio
«Sono un assoluto difensore della nostra linea. Nonostante la legge Bosman abbia allargato il mercato e rinforzato i rivali. Noi abbiamo Lezama, scuola di football e di vita. Cerchiamo di formare giocatori e uomini. I talenti? Dipende dalle annate. Ma uno-due per stagione emergono. Ci vuole pazienza per vedere i cuccioli diventare leoni. Il marchio di Lezama è però un valore aggiunto, specie nei momenti di difficoltà. Crea gruppi più compatti».
Sullo stadio San Mamés
«Non è più la “cattedrale” del mito, ma l’ambiente è sempre lo stesso. Anzi, con la ristrutturazione abbiamo 8000 soci in più. Personalmente ho nostalgia del vecchio “tempio” anche se riconosco che serviva qualcosa di più moderno e funzionale».
Sul calcio moderno
«Forse servirebbero più Athletic. So che è complicato e che noi siamo dei romantici, per alcuni al confine con l’ingenuità, ma credo che un maggior legame con il vivaio e la propria terra darebbe anche più soddisfazione. Vero: noi spesso soffriamo, non vinciamo titoli dal 1984 ma facciamo tutto con grande allegria. E continuiamo a goderci la Liga, mai retrocessi come il Real Madrid e il Barcellona».
Su Juventus e Torino
«Giocammo con la Juve la finale di Coppa Uefa del 1977. Furono sfide equilibrate: 1-0 a Torino, 2-1 a Bilbao. Poteva andarci meglio. Il mio amico Zoff ricorda sempre che al San Mamés soffrì moltissimo. Che bel calcio, quello: noi con 11 baschi come sempre, ma anche la Juve con 11 italiani… Ora loro hanno il “nostro” Llorente:
Fernando è stato importantissimo per noi. Gli abbiamo dato tutto, dall’affetto a un ottimo contratto. Lui però cercava una nuova sfida. Sono scelte personali che bisogna rispettare. Quanto al Toro, sappiamo che è in un momento straordinario, ha una difesa solida, gioca bene in contropiede e quel Quagliarella è in gran forma. In più ha un tecnico fine stratega. Come noi è un club con storia e vittorie, ma da un po’ digiuna. E come noi è riconosciuto fuori confine ed è una squadre del popolo».
L’incontro in Europa League tra Toro e Athletic Bilbao
La sfida Torino-Athletic Bilbao (stadio Olimpico) ha tutte le carte in regola per rivelarsi un grande classico europeo. Magari non dal punto di vista tecnico (i baschi stentano nella Liga e galleggiano a metà classifica, al 13° posto; mentre il Toro appare in ripresa e si trova in nona posizione, in compagnia dell’Inter), ma di certo sotto il profilo della tradizione, della storia, della passione e dell’attaccamento alla maglia. Moltissimi tifosi granata non nascondono la loro simpatia per la squadra basca e ammirano soprattutto la tenacia nel conservare la propria identità nel football globalizzato. A Torino sono attesi circa 1.500 sostenitori del Bilbao, e fra questi anche i 120 fedelissimi della peña“Los LeonesItalianos-ItaliakoLehoiak”, unico club italiano della formazione basca, interamente formato da tifosi tricolori innamorati dell’Athletic.