Per decenni non se ne è potuto parlare e da undici anni, con l’istituzione della Giornata del Ricordo, nelle scuole e nei luoghi pubblici si discute delle Foibe e dell’esodo forzato degli Italiani che hanno dovuto abbandonare l’Istria e la Dalmazia occupate dalle truppe titine. Una tragedia che ha costretto 350mila italiani ad abbandonare tutti i propri averi, le case e le proprietà per un futuro spesso incerto.
Con la firma del Trattato di pace, il 10 febbraio 1947, si concludeva la seconda guerra mondiale, ma non cominciava un periodo di pace e di ricostruzione per quelle famiglie costrette a stabilirsi in città sconosciute, dal Nord al Sud dell’Italia, e spesso in altri Paesi, in particolare Australia, Canada e Stati Uniti. E’ stato lungo l’oblio sul dramma delle foibe (crepacci, fenditure nella roccia stretti e profondi anche qualche chilometro), dove circa 30mila italiani, vittime di pulizia etnica, furono gettati dai partigiani e dai soldati dell’esercito titino.
Silenzi, omissioni, che per decenni hanno tutelato una classe dirigente che ha preferito non occuparsi di questa tragedia nazionale a causa di opportunità politica (la guerra fredda da un lato e la distanza della Jugoslavia di Tito dall’Urss, che la Nato tendeva a incoraggiare) ma anche di una operazione culturale che doveva cancellare responsabilità politiche di esponenti italiani del governo e non. Grande la responsabilità di Togliatti che nel 1942, da Mosca, initava i comunisti italiani a obbedire alle truppe titine e di schierarsi con loro. Non mancarono, del resto, in quella zona di operazioni, anche comunisti che non condivisero questo ordine dei vertici del Pci.
Il Trattato del 1947 previde il passaggio dell’Istria e delle isole di Cherso e Lussino alla Jugoslavia e il diritto degli jugoslavi di requisire i beni dei cittadini italiani. L’Assemblea costituente ratificò a maggioranza. Ma il presidente del Consiglio Ferruccio Parri e il ministro degli Esteri Alcide De Gasperi denunciarono la scomparsa di circa ottomila prigionieri italiani in Jugoslavia.
Si sapeva che, dopo la fine della guerra, quindi anche in tempo di pace, gli jugoslavi avevano praticato una vera e propria “pulizia etnica” per avviare la «slavizzazione» della Venezia Giulia. Almeno 350mila italiani, fra il 1945 e il 1956 fuggirono dall’Istria, dalla Dalmazia e dalle isole. Dopo, calò il silenzio.
Ma da alcuni anni stanno fiorendo ricerche storiche, libri di testimonianze e anche rappresentazioni teatrali come Magazzino 18 di Simone Cristicchi o la fiction Rai Il cuore nel pozzo che affrontano il tema per fare chiarezza e per restituire dignità a quegli Italiani che senza colpa, ma per ragioni politiche, hanno pagato la propria italianità con la vita.
Carla Isabella Cace, giornalista professionista, ha pubblicato un libro (Foibe ed esodo. L’Italia negata , Pagine ed., pagg. 212, euro 16,00) nel quale, oltre a ripercorrere la storia del periodo delle foibe e dell’esodo, sono riportati documenti inediti, la storia degli esuli istriani e dalmati, la geografia delle attuali comunità italiane in Croazia, Slovenia, Montenegro, testimonianze inedite e brevi biografie di istriani e dalmati illustri, da Sergio Endrigo a Mila Schoen, da Laura Antonelli a Ottavio Missoni, da Alida Valli ad Abdon Pamich.