Il Foglio spiazza ancora. Stavolta su temi tanto cari a Giuliano Ferrara. «Farsi dare degli omofobi per niente, a Milano (con tante brutte gaffe)» è il titolo dell’uscita di Maurizio Crippa in merito al ginepraio suscitato intorno al convegno in Regione Lombardia “Difendere la famiglia per difendere la comunità”. Non esattamente una sconfessione e neanche una boutade da derubricare come fuoco amico. Semmai una riflessione che tocca le corde dell’utilità pratica e culturale di una manifestazione che di contenuti all’esterno – per forza di cose – è riuscita a farne passare ben pochi, nonostante gli schiamazzi in sala.
Eccolo: «Era questo lo scopo? Ma sbraitare dal palco “portatelo fuori!” a un ragazzino molesto che se ne esce per fare la sua provocazione, nel bel mentre che ci si fa riprendere in un video che in tre nanosecondi farà il giro d’Italia; ma farsi bastonare dall’accusa di “omofobia” – ne ha di fiato da vedere Massimo Introvigne a dire che “omofobia” è nient’altro che la nuova parola mostrificante; ma organizzare un convegno già sotto schiaffo e farsi beccare con in platea (dietro a Maroni e Formigoni, non proprio su uno strapuntino) un sacerdote che ha avuto qualche suo rilevante problema di giustizia ecclesiastica e forse era semplicemente meglio non fosse stato lì, così che adesso persino Maroni fa la bocca a culo di gallina, “era opportuno che non fosse lì”».
Troppe sbavature e fin troppo evidenti. In questo, la rappresentazione di Crippa ha di cruciale che è fedele alle immagini e ai video circolanti in rete: «Ecco, infilarsi in un casino così, un casino improduttivo (controproducente è un concetto diverso) non è la stessa cosa di aver provato a portare, e tenere vivo nell’arena pubblica, un dibattito non residuale, non di retrovia».
Insomma di carne al fuoco ce n’è, eccome, per smorzare i livori o l’entusiasmo del fronte anti-antiomofobia, con Ignazio La Russa in testa. «C’era bisogno? Qui – continua il fogliante Crippa – sta il punto. Se il convegno milanese voleva essere la data di nascita della destra religiosa italiana, forse l’operazione è riuscita. Non nel senso da che parte votano i partecipanti (posto che a destra, in Italia, ci sia qualcuno che la pensa come loro), ma destra intesa come modalità di azione pubblica della destra religiosa di matrice protestante (ma in Francia anche no). Il nemico non è che non ci sia, è chiaro. Ma la strumentazione ideologica e la dialettica barricadera con cui viene affrontato oggi è inservibile, marginale. Pare una fissazione».
La questione della difesa della famiglia tradizionale, sempre se così posta la questione (glissando sulla complessità del tema, non a caso il clero mondiale ne sta discutendo nel doppio Sinodo) possa ancora affascinare la destra politica italiana, solleva una premessa di partenza che lo stesso Crippa non intende tralasciare: «Non c’è nulla di male a difendere la famiglia, intesa tradizionale, monogamica, stabile e con figli. Non c’è nulla di male nemmeno a ritenere che l’omosessualità non debba diventare l’unica versione di sessualità e affettività degna di essere insegnata nelle scuole, come nuova e insindacabile dogmatica. Dalle Filippine anche il Papa ha detto: “Attenti alle colonizzazioni ideologiche che vogliono distruggere la famiglia”. Il problema è come farlo».
E da qui dovrebbe aprirsi il dibattito, ma quello vero e sereno sia a destra che nel mondo cattolico. L’opzione futuribile non è e non può essere quella della resa incondizionata. Questo è chiaro. Le Sentinelle in piedi valgono già come uno spunto credibile. Ma la sloganistica della stagione Ruini, per quanto efficace, è da rimodulare. Non fosse altro che quella stessa classe dirigente che in passato si è dimostrata tanto solerte ai moniti dell’ex vicario di Roma, oggi non brilla affatto, semmai crea imbarazzi. Milano, in tal senso, è la capitale – Formigoni ne sa qualcosa – di un modello politico che già da tempo sembra tanto appiccicoso quanto impolverato.