“Il modello-Sicilia è meraviglioso”. Parola di Beppe Grillo, il leader del primo partito d’Italia. Attenti però, il suo riferimento non va né al sistema economico isolano, né tanto meno a quello politico, più volte definito dallo stesso comico genovese gattopardesco. Il duce a cinque stelle ha in mente ben altra esperienza. Quella cioè finora espressa dai quindici onorevoli grillini seduti a Palazzo dei Normanni. Chi vuole capire fin da ora quali saranno le linee guida del gruppo parlamentare targato “vaffa” di Montecitorio, deve volgere lo sguardo a Palermo.
Il metodo grillista è semplice: si vota legge per legge, provvedimento per provvedimento. Opposizione sì, ma non acefala. Siamo, dunque, lontani dall’intransigenza dei vecchi deputati Pci, che davano preventivamente del “ladro” a tutti, confortarti dall’idea di rimanere minoranza nel paese. Benché anche i grillini siano tentati da questa medesima pregiudiziale, dal punto di vista dell’intransigenza, visti da vicino, i grillini, intransigenti, non lo sono affatto. Nella maggior parte dei casi sono persone assai moderate. Grillo, per certi aspetti, è il peggiore esempio della prassi grillina. Che finora, almeno in Sicilia, si è rivelata poco caciarona, scarna di proclami, ma assai fattiva. Nel senso più stringente del ciò-che-ho-detto-ho-fatto. Argomento non da poco, a fronte di una campagna elettorale segnata da proclami dal sapore assai grottesco.
Avevano promesso che avrebbero rifiutato il rimborso delle regionali, una cifra pari a quasi un milione e cinquecentomila euro. Bene, lo hanno fatto. Lo stesso vale per la proposta di trattenere per sé solo 2.500 euro dei 12mila previsti per lo stipendio da parlamentare. Fatto pure questo. E non solo. La cifra restituita è stata destinata in favore di un fondo speciale per il microcredito alle piccole e medie imprese. Questo, per rimanere sempre in tema di concretezza. In ultimo, poi, è valso tantissimo lo sgambetto rifilato al presidente della Regione Rosario Crocetta sulla controversa questione del Muos di Niscemi. É bastata la scelta tecnica di far cadere il voto in aula sul Dpef, per rimettere seriamente in discussione la vicenda della revoca delle autorizzazioni per le installazioni delle mega antenne americane e per incrinare seriamente i rapporti tra la diplomazia statunitense e i le istituzioni regionali.
Nel curriculum siculo-grillino, c’è spazio pure per un altro risultato degno di nota. Più contiguo però alle logiche di palazzo, che all’azione disinteressata della cyber-opposizione. Si tratta dell’elezione di Antonio Venturino alla vicepresidenza di sala d’Ercole. Una partita vinta con un colpo di destrezza. Quando, a fronte di una spaccatura all’interno del Pd, i grillini si sono saputi fare avanti piazzando un proprio esponente tra i banchi della presidenza dell’Assemblea regionale siciliana. Un voto attorno al quale ancora aleggia un piccolo giallo. Da dove sono venuti quei tre voti in più che anno permesso a Venturino di diventare vicepresidente? E perché proprio ad un grillino? Per alcuni venivano dai banchi democratici, per altri dal Grande Sud di Gianfranco Micciché. Il mistero resta inviolato.
Certo è che Grillo non poteva prendere ad esempio il caso di Federico Pizzarotti, il primo sindaco grillino ad essere eletto in un centro di grosso rilievo. Per carità, il sindaco di Parma non si è dimostrato affatto un “brigante”. Ma alla prova del governo, della decisione, ha rivelato tutti i limiti di una proposta politica che non può essere allo stesso tempo pacifica e rivoluzionaria assieme. La somma delle mancate promesse pizzarottiane sono state già raccolte da Il Messaggero, in un reportage di Simone Canottieri, considerato assai scomodo per tutto il movimento. Si legge nel pezzo: “Grande delusione tra i parmigiani, che pagano Imu e Irpef, tra le più alte d’Italia, e rette d’asilo sempre più costose. Per non parlare poi del termovalorizzatore – prosegue il giornalista- che sarà attivo tra gennaio e marzo, dell’apertura di nuovi centri commerciali, dell’aumento del costo dei parcheggi sulle strisce blu e della mini-imposta di 10 euro per la Ztl”.
Parlare dunque in siciliano. Grillo e Casaleggio hanno questo in mente. Tra la situazione politica nazionale e quella di Palazzo dei normanni ci sono delle differenze sostanziali. Benché sia il centrosinistra a reggere lo scettro in entrambi i casi. Crocetta, nonostante la precarietà della sua maggioranza, è stato direttamente eletto dai siciliani. Bersani, qualora avesse il mandato governativo dal presidente della Repubblica, sarebbe soggetto a fiducia parlamentare. Già da subito. Il criterio del provvedimento-per-provvedimento, davanti a quel primo e fatidico voto, sarebbe svuotato di senso. Votare sì la prima volta, significherebbe essere maggioranza, essere “alleati”. Di una forza che, peraltro, a differenza del partito di Berlusconi, non ha mai messo in discussione la pesantezza e le finalità della stagione montista. E neanche la trazione iper-europeista dell’agenda dell’ex premier. Una convergenza stretta, o ingenua, con il Pd significherebbe svuotare di valore quella democrazia-orizzontale tanto profetizzata dai guru a cinque stelle. Significherebbe sprecare un capitale elettorale aggregato in nome di un cambiamento, che in primo luogo vuole essere etico anche negli allineamenti di palazzo.