Anna Karenina, l’ultima pellicola di Joe Wright (Orgoglio e Pregiudizio e Espiazione) e dello sceneggiatore Tom Stoppard (Shakespeare in love) è l’ennesima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Lev Tolstoj. La sfida del regista londinese, dunque, è delle più ardue: fare i conti con un capolavoro della letteratura e contemporaneamente con numerosi adattamenti di tutto rispetto (la divina Greta Garbo ha interpretato il ruolo di Anna per ben due volte). Il risultato ottenuto non è del tutto convincente, nonostante si prefigga fin dall’inizio obiettivi molto meno ambiziosi dell’opera da cui è tratto. Vediamo perché.
Innanzitutto viene fatta una scelta contenutistica. Dei tanti temi sviscerati nel romanzo di Tolstoj – che è insieme un mirabile affresco della società russa di fine Ottocento e un compendio del suo pensiero – il film decide di limitarsi a trattare solo il tema principale e più popolare: l’Amore. In primo piano la vicenda narra l’amore romantico e tormentato di Anna (Keira Knightly), donna carismatica e inquieta, sposata al rigido e rispettabile funzionario del governo Aleksei Aleksandrovič Karenin (Jude Law) e del conte Vronskij (Aaron Taylor-Jhonson), galante e fascinoso ufficiale dell’esercito russo. Il loro amore, scandaloso e sfrontato, ma vero e travolgente, mina alla base le rigide convenzioni sulle quali si regge la società russa di fine Ottocento, la quale respingerà con forza e crudeltà i due giovani fino a separarli definitivamente (Anna si suicida gettandosi sotto un treno). Sullo sfondo altri due amori: quello coniugale convenzionale dello spensierato fedifrago Stiva (Matthew Macfadyen), fratello di Anna, e della sua dolente e rassegnata moglie Dolly (Kelly Macdonald); e quello delicato e discreto di Levin (Domhnall Gleeson), giovane onesto e idealista, per Kitty (Alicia Vikander), sorella di Dolly, fanciulla aggraziata e virtuosa.
La sceneggiatura ripercorre quasi interamente gli avvenimenti narrati nell’opera originale con tempi e modi assolutamente in linea coi gusti dello spettatore di oggi e lo fa anche con una certa maestria, poiché il film ha una notevole tenuta e coerenza interna.
La pellicola è esteticamente impeccabile, i costumi sono sontuosi e raffinati e la scenografia, di grande fascino, è curata nei minimi dettagli. Anche la scelta stilistica di ambientare buona parte del film all’interno di un teatro (palcoscenico, quinte, platea e palchi) è senz’altro originale e si rivela azzeccata, poiché sembra sottintendere da un lato l’artificiosità delle convenzioni sociali dell’epoca, dall’altro l’eternità di quei sentimenti (Amore, Odio, Tradimento, Onore, Vendetta, Colpa) veri protagonisti della storia narrata che in questo modo da particolare diventa universale. Il risultato è ancora più pregevole se consideriamo che, nonostante i continui cambi di scena interni ed esterni (a volte la macchina da presa scivola fuori e ci apre lo sguardo oltre le quinte e i fondali sul vasto paesaggio russo) e l’alternarsi di illusione teatrale e realismo cinematografico, dal primo all’ultimo istante il film ci cattura e ci trasporta leggiadro come in una danza collettiva ben congeniata ed eseguita.
E fin qui tutto bene. Ciò che invece convince meno e lo rende un film buono, ma non memorabile, è proprio la conseguenza di questo rigore stilistico e fluidità narrativa. La rappresentazione ha una sola dimensione, non approfondisce né la psicologia dei personaggi (carattere, pensieri, paure, desideri), né la loro fisicità (gesti, sguardi, portamento, fascino), affidandosi unicamente alle capacità recitative degli interpreti (ottimo e insolito Jude Law nella parte di Karenin), e restituendoci un’immagine di sé molto piatta e superficiale. I sentimenti dei protagonisti non arrivano mai allo spettatore con la dovuta intensità. L’impatto emotivo complessivo è decisamente troppo debole per un film che vuole raccontare soprattutto l’Amore in ogni sua forma e che alla fine sembra volerci suggerire la Grazia come unica via verso la felicità dell’Uomo.
* Anna Karenina, diretto da Joe Wright. Durata 130′