Se Renzi volesse davvero vedere l’Italia reale, nelle sue tournée non andrebbe ad inaugurare la Philip Morris di Bologna. No, andrebbe a Terni, al capezzale dell’acciaieria con mille posti di lavoro a rischio, nella città dove il suo Pd continua ad avere percentuali altissime. Ma a Terni non ci va, perché i fischi non gli piacciono: preferisce i tweet. Eppure di andare a Terni l’aveva promesso ai suoi deputati per ben tre volte negli ultimi quattro mesi. Lo aveva detto persino agli scout che sarebbe venuto nella città umbra per risolvere la vertenza dell’Acciai Speciali.
Poi però il 4 ottobre si è fermato ad Assisi (a 60 km dalle acciaierie ndr), dove dal balcone della basilica ha rivolto un pensiero agli uomini e alle donne di Terni. E’ mancata la benedizione.
Quella, la benedizione, a Renzi, gliel’ha data venerdì scorso un giovane operaio della Rsu dell’Acciai Speciali Terni. Dal palco, il giorno dello sciopero generale, di fronte ad una folla inferocita di 30.000 persone. “Caro Renzi – gli ha detto – sei andato ad Assisi e qui non ci sei venuto, ma sentire un po’ de puzza de fabbrica non te faceva male!”. “Dici che sei terrorizzato dal caso Terni, e noi allora che dovremmo dire?” “Hai paura. Dici che vuoi risolvere la vertenza di Terni. Bene. Ti stiamo aspettando. Dì alla Germania che questa popolazione non s’inchina alla loro prepotenza!”. E la piazza è esplosa in un boato. Che è risuonato pure su twitter. Perché grazie anche alla trasmissione Gazebo e a Diego Bianchi “Zoro”, l’hashtag #puzzadefabbrica vola alto in classifica.
Chissà se a Renzi, che intanto se la rideva con la Angela Merkel all’Asem di Milano, sarà arrivato qualche retweet, chissà se gli saranno fischiate le orecchie?
A Susanna Camusso e a Luigi Angeletti le orecchie sono fischiate di sicuro. Perché anche i loro interventi sul palco di Terni sono stati accolti da un boato. Di fischi, appunto. E di improperi. Nonostante la manifestazione in difesa dell’AST e dell’acciaio italiano fosse stata organizzata da Cgil, Cisl e Uil. Che continuano a parlare di contestazioni isolate. Ma così non è stato.
Perché i lavoratori di questa fabbrica, che esiste da 130 anni e che è uno degli stabilimenti più importanti d’Europa a ciclo integrato (cioè produce acciaio dal caldo al freddo, dalla fusione alla laminazione) non ne possono più. Non si sentono più rappresentati adeguatamente. Chiedono più forza alla politica e al sindacato, per difendere l’acciaio italiano e chiedono che il Governo dica una volta per tutte se ha delle politiche industriali e quali sono. Renzi e il ministro Guidi continuano invece a dire che loro sono solo mediatori tra l’azienda, la multinazionale Thyssen Krupp, e i sindacati.
Troppo poco, davvero troppo poco. Specie dopo che l’AST di Terni che solo tre anni fa era uno stabilimento modello (anche dopo la privatizzazione voluta nel ’93 da Prodi), ha dovuto subire decisioni che sono passate altissime sopra la propria testa e soprattutto sopra quella dell’Italia. Prima quelle di ThyssenKrupp di vendere il settore inox, poi quelle, ben più gravi, della Commissione europea che, per giochi di potere e finanziari, ha fatto saltare la vendita ad un player serio come i finlandesi di Outokumpu, riconsegnandola incredibilmente ai tedeschi dopo un anno e mezzo d’incertezza e al termine di un mostruoso gioco dell’oca.
In primavera ThyssenKrupp ha mandato a Terni un nuovo Ad, Lucia Morselli, con obiettivi precisi: tagliare costi, ovvero posti di lavoro, chiudere, con ogni probabilità, l’area a caldo.
Se muore la Terni, muore Terni, hanno gridato in migliaia alla grande manifestazione di venerdì quasi ignorata dai media nazionali. Ma se muore il polo industriale di Terni, rischia anche di accorciarsi l’agonia del manifatturiero italiano, in un settore strategico come quello dell’acciaio.
E Renzi lo sa, o almeno lo dovrebbe sapere.
Eppure qualcuno continua ad aspettare con fiducia che il premier tiri fuori il coniglio dal cilindro per risolvere questa spinosa vertenza. Ma forse anche il suo coniglio è allergico alla #puzzadefabbrica.