L’area diessina del Pd è in subbuglio. Matteo Renzi sta infatti mettendo in discussione molti dei capisaldi su cui nel corso degli ultimi vent’anni era stata costruita la politica del centro sinistra e, non secondariamente, l’opposizione ai governi berlusconiani.
L’eliminazione dell’articolo 18 e il Jobs Act nella sua interezza non vanno proprio giù a Stefano Fassina, orgogliosamente post comunista, che minaccia di non votare la delega al governo, se non si conoscerà prima il contenuto dei cambiamenti che l’esecutivo vuole apportare al mondo del lavoro. Se la situazione non cambierà il suo voto sarà dunque contrario perché, secondo l’ex viceministro, al momento non c’è la sicurezza che vi siano misure di contrasto alla precarietà, la disciplina del reintegro dopo il licenziamento ingiustificato non è ancora chiara, non si sa nulla sugli ammortizzatori e, soprattutto, non si sa quali tipologie di contratto verranno eliminate.
Fassina continua dunque a mantenere una linea critica nei confronti di Renzi. Il 4 gennaio, in polemica con il premier, si dimise dall’incarico di viceministro dell’economia, dopo uno scontro che durava sin dal periodo congressuale dell’autunno scorso. Le divergenze, oltre che le politiche economiche, riguardano la gestione del Pd.
“Matteo Renzi, oltre a dedicarsi a organizzare la “Leopolda” per i suoi fedelissimi, dovrebbe innanzitutto preoccuparsi di organizzare un’assemblea dei coordinatori dei circoli del Pd -scrive su Facebook Fassina- In un momento così impegnativo per il Pd, alle prese con una virata programmatica sul lavoro, un crollo degli iscritti e il taglio drammatico delle risorse sarebbe utile ascoltare chi tra mille difficoltà è impegnato sul territorio.”
Un messaggio forte, che fa riferimento al tesseramento del Pd, che in un periodo di crescita apparente, non sembra che sia andato tanto bene.