È chiaro che con il cuore la gran parte di coloro che hanno una precisa idea di identità nazionale e di tradizione hanno tifato per la Scozia indipendente. Ma un’analisi delle motivazioni dietro al voto scozzese merita d’essere approfondita anche perché è uno specchio che – come di consueto – riflette un’immagine tristissima dell’Italia.
A sciabolate i nostri media hanno dipinto la questione dell’indipendenza scozzese come una lotta fra lobby e interessi economico-petroliferi-finanziari. Non che questi non ci siano stati, beninteso. Ma ridurre tutto a una questione fra unionisti mossi da lobby e dalla paura di tracolli monetari e secessionisti egoisti attratti dalla lusinga di gestire in autonomia il Brent a nord del Vallo di Adriano è di una superficialità disarmante. Al limite al fronte secessionista si è data la patina di folkloristica banda di sciovinisti cornamusari stregati da “Braveheart” e agli unionisti quella di pedanti monarchici un po’ tromboni.
Il fronte indipendentista – complice anche una simpatia che la Scozia riscuote a fronte della storica antipatia albionica – si è sicuramente giovato fra gli italiani di supporto e comprensione. Non occorre d’altronde essere leghisti per trovare più simpatici gli scozzesi che gli inglesi…
Un pregiudizio (coi suoi granitici fondamenti, va detto) che ha impedito di vedere che le ragioni del “no” – quelle che hanno prevalso – non erano affatto solo quelle della finanza, dell’economia e delle lobby dei poteri forti. Il vero scontro in Scozia è stato fra due appartenenze storiche, fra due identità storiche. “Voterò no perché Scozia, Inghilterra, Galles e Ulster hanno combattuto insieme due guerre mondiali” ha detto un vecchietto di Edimburgo a un’intervistatrice di RaiNews24 il giorno prima della consultazione. Chi conosce la Scozia sa quanto profondissimo sia in quel paese il rispetto per la tradizione militare: ogni chiesa ha i suoi stendardi reggimentali e le funzioni in ricordo dei Caduti tenute settimanalmente. L’appartenenza ai reggimenti scozzesi rappresenta un collante identitario più forte dell’acciaio. È vero: Scozia e Inghilterra sono state acerrime nemiche. Fra 1600 e 1700 l’Inghilterra ha condotto una guerra d’occupazione che ha sfiorato lo sterminio (com’è avvenuto invece in Irlanda senza mezzi termini). Ma poi i due regni si sono fusi. E il sangue versato dai reggimenti scozzesi per la corona di Gran Bretagna è stato il suggello di una storia comune. Chi era indipendentista, dunque, guardava alla storia pre-unitaria. Chi era unionista a quella post 1707. Petrolio, sterlina, tasse, finanza stavano sullo sfondo, al massimo erano paretiani “argomenti razionali per cercare di giustificare scelte irrazionali”. Poiché irrazionali – absit iniuria verbis – sono tutte le scelte identitarie.
Dunque con il “no” non ha vinto la lusinga dell’oro contro il richiamo del sangue. Ha vinto il “chi divide pane e morte non si scioglie sulla terra”. Ha vinto un’identità contro un’altra. Entrambe profonde ed entrambe radicate. Entrambe con le loro ragioni. E ora, riflettendo il volto dell’Italia in questa realtà, non dobbiamo per l’ennesima volta essere sconfortati? Un paese i cui media ignorano del tutto le questioni identitarie (a prescindere dalla simpatia o antipatia che ci possano suscitare) ma riduce tutto a una questione di tasse e petrolio ha seri problemi. L’Italia non capisce più cosa voglia dire avere una memoria (e la Scozia ne ha una duplice, quella del passato indipendente e quella nel regno unitario), una tradizione militare, un culto dei Caduti.
Quando in Italia di tanto in tanto si tira fuori qualche velleità secessionista dal Veneto alla Sardegna, non c’è nessuno che – come il vecchietto di Edimburgo – si alzi a dire “i sardi della Sassari e i veneti negli Alpini hanno combattuto per tre anni durante la Grande Guerra e hanno vinto insieme”. Si parla di problemi da legulei, di questioni economiche, di fantomi pseudostorici (tipo che “i veneti non sono italiani”). Non si ha alcun sussulto di identità, né in un senso né nell’altro poiché i secessionismi restano un ambito di piccole minoranze e l’unitarismo si giova non tanto di un patriottismo italiano del tutto inesistente, quanto dell’innata inerzia del nostro paese al cambiamento e ai salti nel buio. Non stupisce dunque che davanti a uno scontro fra due identità profondissime come quelle della Scozia, noi italiani a mala pena siamo riusciti a riconoscere superficialmente quella propagandata dal film di Mel Gibson.