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Il Borghese (di C. Tedeschi). Il successo dei populisti in Europa modello per i sovranisti

by Claudio Tedeschi
26 Settembre 2014
in Politica
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tricolore(Pubblichiamo l’editoriale di Claudio Tedeschi per il numero di ottobre del mensile “Il Borghese”)

«Fascisti, nazisti, razzisti, omofobi, reazionari, antidemocratici, anti-europei, etc …». Queste sono le definizioni che la stampa internazionale e la rete hanno scritto in merito all’affermazione del partito di destra nelle ultime elezioni nazionali in Svezia. Jimmie Akesson, 35 anni, ha portato il suo partito Sverige Demokraterna (Svedesi democratici) al 12,9, triplicando i voti del 2010 (5,7).

Leggendo la sua storia politica, ci si rende conto che il percorso che lo ha portato a guidare il terzo partito di Svezia, è simile a quello seguito di Marine Le Pen.

Alla fine degli anni ’90, a seguito della crisi economica iniziava a crescere una opposizione radicale al sistema di governo svedese, ingessato nella sua «ortodossia» sociale. Nelle periferie, gli immigrati dai Balcani prendevano il posto delle famiglie operaie svedesi. Ecco spuntare la reazione: teste rasate, skinhead, svastiche, slogan violenti.

In quel periodo, il giovane Akesson, iscritto al partito moderato, decide di darsi alla politica. A 19 anni viene eletto consigliere comunale a Solvesborg, gettando le basi del movimento degli Svedesi Democratici. Ben presto si rende conto che non è possibile cavare qualcosa di sensato da persone che si scambiavano il saluto nazista e portavano tatuato sul petto il simbolo delle SS.

Ispirandosi alla politica del leader olandese Pym Fortuyn, e impressionato dal suo omicidio e da quello del regista Theo Van Gogh, ucciso da un islamico, decise di fare pulizia in casa. Spazzati via simboli, tatuaggi e ferramenta varie, si immerge nella realtà svedese, fra il disagio diffuso dei ceti operai e dei pensionati, ma anche negli ambienti della media borghesia più agiata.

Tutto questo paga. Nel 2010, superando la soglia del 4 per cento, il SD entra in Parlamento con il 5,7. Oggi, è il terzo partito di Svezia, e ago della bilancia nella formazione del governo.

Marine Le Pen ha seguito la stessa strada. Svecchiato il partito fondato dal padre, inserite persone nuove nei quadri locali e nazionali, la Presidente del Front National è riuscita in pochi anni a portare il partito ad essere il primo di Francia (alle ultime europee) ed a porre l’ipoteca sulle prossime politiche e sulla corsa per l’Eliseo. Lo strappo con la vecchia «gestione» del Front sono state le parole, rivolte ai cittadini francesi di religione ebraica, durante l’ultima operazione militare di Israele nel territorio di Gaza: «Non smetto di ripeterlo agli ebrei francesi: non solo il Front national non è vostro nemico, ma è senza dubbio nel futuro il miglior scudo per proteggervi, è al vostro fianco per la difesa delle nostre libertà di pensiero o di culto di fronte al solo vero nemico, il fondamentalismo islamico».

In Germania la stessa cosa. Il partito Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania) guidato da Bernd Lucke, è in continua ascesa. Basato su idee «euro-scettiche», per un ritorno al marco ed una regolamentazione degli immigrati, alle politiche del 2013 aveva ottenuto poco più del 4 per cento, restando fuori del Parlamento (soglia del 5 per cento). Alle Europee del 2014 si era portato al 7 per cento. Ora con i voti nei Länder di Turingia e Brandeburgo (l’antica Prussia), rispettivamente il 10 e il 12 per cento, a Berlino si è acceso un segnale rosso di pericolo. Se fra tre anni, l’AfD mantiene questo ritmo può compromettere la tenuta dell’alleanza CDU-SPD, nonché ipotecare le scelte europee della Merkel, vera padrona della UE. Non dimentichiamo che, insieme alla vittoria di Lucke, nella ex Germania orientale si sono affermati i partiti della Linke (sinistra radicale) e dei post-comunisti, il tutto a danno dei partiti che sorreggono il governo nazionale.

Tutto questo ribollire di movimenti nazional-populisti e post-comunisti (la Linke è l’erede della Sed, partito-Stato della dittatura tedesco-orientale di Pankow), si va ad unire alle agitazioni scissioniste che agitano il vecchio continente, dalla Scozia alla Catalogna, dall’Ucraina alla Crimea.

E l’Italia? Secondo Renzi, se ne parlerà tra mille giorni, quando sarà pronta la nuova legge elettorale, non avremo più il bicameralismo perfetto, le province saranno sciolte, il Cnel buttato a fiume, le scuole in ordine, la Polizia avrà sostituito le armi con i fiori e forse «anche i preti si sposeranno» …

Questo Renzi lo ha puntualizzato, nel discorso alla Camera, quando parlando dei risultati svedesi ha detto che occorre rivedere la struttura di comando e controllo del Paese. Se non si permette al partito che vince di correre per il ballottaggio o di incoronarlo con il premio di maggioranza, si corre il rischio della Svezia, della Francia, della Germania, della Spagna … in pratica il risveglio e l’affermarsi di movimenti anti-europei.

La vittoria di Grillo ci aveva illuso, convinti che dalle parole si passasse ai fatti. Invece, il movimento è passato direttamente alla cassa. La Destra è scomparsa. Berlusconi è morto e sepolto, burattino nelle «mani» (d’oro) della Pascale. I FdI hanno perso Crosetto, tornato a fare il professionista, lasciando «Meloni e compagnia» sull’«isola che non c’è». La Lega ormai è al «si Salvini chi può», costretta a blandire i «terroni» «per un pugno di voti».

Dobbiamo guardare oltre. Dobbiamo superare gli steccati nazionali e andare direttamente in Europa, non votando più per chi ci ha portato alla rovina e venduto un patrimonio umano e storico per un «piatto di poltrone», ma per chi sa cosa significa essere «per il popolo e con il popolo».

Se non lo facciamo ora, lo dovremo fare domani, quando masse di africani ci butteranno fuori dalle nostre case e conquisteranno l’Italia con «il ventre delle loro donne».

(da «il Borghese», Ottobre 2014)

Claudio Tedeschi

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Tags: borgheseDestraeuropafnfrontnationalpopulistisovranistitedeschi

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