Prima di qualsiasi considerazione su quanto sta avvenendo in Italia in queste settimane, bisogna affermare con forza una sola cosa: nessuna società pubblica di ENI e di Finmeccanica sarà venduta nei prossimi dieci anni. Lo dovranno dire con voce forte e chiara tutti i partiti che si presentano alle elezioni cos’ come lo dovrà affermare il governo Monti che ha già sul suo groppone la vendita di qualche settimana fa agli americani della General Electric di Avio, una società a tecnologia avanzata nel settore aerospaziale. Se qualcuno farà silenzio sarà inevitabilmente sospettato di complicità. E ci spieghiamo. La pubblica opinione, e noi per primi, è sbalordita per le coincidenze delle ultime settimane in cui scandali, arresti, interrogatori hanno colpito, tra tanti altri, anche una grande banca italiana, il gruppo ENI con uno dei suoi gioielli che tutto il mondo ci invidia, la Saipem, e la Finmeccanica, la holding pubblica che controlla diverse società a tecnologia avanzata nei settori dell’energia, dell’impiantistica, dell’elicotteristica e in quello ferroviario oltre che in molti altri settori concernenti la difesa nazionale. Non c’è alcun dubbio che la magistratura debba fare il suo mestiere chiarendo sino in fondo omissioni e responsabilità. Quel che sconcerta, però, è il fatto che indagini in corso da oltre un anno, e addirittura una da sei anni (acquisto di Antonveneta), si concludano tutte magicamente nelle tre settimane che precedono le elezioni. Finmeccanica era sotto indagine da oltre due anni, la Saipem da circa un anno ed il Monte dei Paschi era sotto ispezione della banca d’Italia da 5 anni e da circa un anno le sue disastrose condizioni erano già note al governo. Tanto per capirci, un indizio è un indizio, due indizi sono due indizi, tre indizi finiscono per essere una prova. E nessuno si consenta di minimizzare su queste coincidenze perché già 20 anni fa accaddero cose analoghe e larga parte delle aziende pubbliche italiane in settori strategici furono vendute a quattro lire. Attenti, noi non siamo tra quelli che urlano ad ogni piè sospinto contro le procure golpiste o quant’altro e ne abbiamo dato prova e testimonianza sul piano personale, ma siamo stati sempre con le antenne dritte per capire se si facevano danni irreparabili al paese. Questi danni sono già stati fatti negli ultimi vent’anni lasciando che parte del nostro sistema bancario fosse acquistato a prezzi di saldo da francesi, spagnoli, olandesi e tedeschi senza avere una strategia di fondo per consentire al capitalismo italiano di partecipare al più generale riassetto del capitalismo europeo. Per dirla in breve, l’avvio della globalizzazione è stato dolosamente interpretato come l’esigenza, sì, di un’internazionalizzazione del nostro sistema economico, ma in chiave passiva, lasciandoci cioè comprare senza alcuna reciprocità con gli altri Stati membri della comunità europea. E grazie a Dio avevamo nel nostro panorama patrimoniale le fondazioni senza le quali oggi, accanto alla BNL impropriamente francesizzata, il Credit Agricole sarebbe il padrone di Banca Intesa, l’Unicredit sarebbe sotto il controllo tedesco e di alcuni fondi sovrani, e chiunque altro avrebbe potuto essere autorizzato a fare shopping tra le nostre strutture del credito. Il nostro sospetto è che tutto ciò che sta accadendo oggi finirà per dare un altro colpo al nostro sistema economico-finanziario. Questo sospetto è confermato anche dal comunicato a botta calda, come si suol dire, di Paolo Scaroni che 24 ore dopo essere stato raggiunto da un avviso di garanzia ha dichiarato che la Saipem può anche essere venduta. All’amico Scaroni vorremmo dire ciò che già dicemmo 25 anni fa ad un altro manager pubblico: da quanto tempo ha comprato la Saipem visto che solo governo e parlamento possono decidere le dismissioni di partecipazioni pubbliche nelle varie società? Ma la dichiarazione di Scaroni, forse, era solo un messaggio a chi aveva occhi ed orecchie per intendere affinché non si continuasse ad insistere sulla criminalizzazione di alcuni grandi player industriali italiani per acquisire solo il controllo di alcune nostre società appetite sul piano internazionale. Noi cercheremo di approfondire tutti gli elementi possibili nella speranza di poter eliminare le nebbie di questo atroce sospetto che in vent’anni, ahinoi, si è quasi sempre dimostrato veritiero agevolato, in questo, da una miopia dei governi e anche di una parte del nostro capitalismo che non è stato in grado di difendere alcuna azienda dalla voracità straniera, dalla Parmalat alla Edison per finire alla più recente Avio. Sarebbe ora che anche la nostra “intelligence” tutelasse l’apparato produttivo italiano senza più fare sponda ad alcuni servizi segreti di altri paesi., vediamo con sconcerto che chi aveva armato vent’anni fa Antonio di Pietro è lo stesso che oggi lo ha disarmato. Ma di questo avremo modo di riparlare.
* da“Il Foglio” del 19 febbraio 2013