Ormai da parecchi anni divido ordinariamente il mio tempo tra Firenze e Parigi: anzi, negli ultimi tempi sono sempre più spesso parigino che fiorentino, né – con tutto l’affetto possibile per la mia città natale – posso dire che ciò mi dispiaccia. Al contrario. Certo, Parigi qualche difettuccio ce l’ha: per esempio, è cara (ma di ciò uno abituato a Firenze quasi nemmeno si accorge). In cambio, la Ville Lumière offre tuttora stimoli intellettuali rispetto ai quali poche città al mondo possono vantarsi di essere allo stesso livello, nessuna forse di più: e si ha un bel dire che sia “decadente”, come ogni tanto si sente dire da qualche provinciale. Basti pensare al numero e alla qualità delle esposizioni che vi si celebrano di continuo. Poi ci sono i teatri e i cinema, che ancora funzionano eccome (prosa compresa). E le rassegne cinematografiche, attuali e retrospettive.
Queste ultime sono preziose perché consentono non solo di rivedere magari i vecchi films di Jean Gabin o di Simone Signoret, ma anche perché ogni tanto ripropongono pellicole che sono sì passate attraverso l’ordinaria programmazione: ma che si sono fermate poco, hanno avuto magari un sovente immeritato insuccesso, oppure si è creduto bene di farle sostare il meno possibile nelle sale perché non abbastanza politically correct.
Mi è così successo, qualche giorno fa, di assistere incredulo al film che in francese è stato proiettato col titolo di Cristeros: e non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. La mia incredulità, anzi sorpresa, è aumentata quando mi sono reso conto che in Italia il film era già passato l’anno scorso sotto il titolo Cristiada. E non era un film poi così trascurabile, dal momento che tra gli interpreti ci sono Andy Garcia e il grande Peter O’Toole (a parte una sempre bellissima Eva Longoria, che gli italiani conoscono quasi soltanto come pin up, ma che invece è anche una brava attrice: il che non guasta).
Ma la Cristiada non è stata l’epica rivolta dei cattolici messicani tra ’26 e ’29 contro le liberticide leggi anticattoliche, anzi propriamente blasfeme, di figuri come il generale-presidente Plutarco Elías Calles, legislatore “laicista” e criminale macellaio al quale, tanto per far un esempio, il diffusissimo Atlante Storico della Garzanti non dedica nemmeno una parola? Non appartiene, quell’episodio, a una pagina dimenticata ed esorcizzata dalla conformistica storia laico-democratico-antifascista un tempo nutrita solo di “Resistenza” e che oggi, riciclatasi in salsa neoliberal-liberista, ha lasciato praticamente cadere anche quella?
Proprio così. Il film dall’originale titolo For greater Glory, distribuito dalla 20.th Century Fox, è stato girato nel 2012, è una produzione statunitense-americana il regista della quale è Dean Wright; ed è stato prodotto da Pablo José Barroso su un soggetto di Michael James Love. Quanto al suo passaggio sugli schermi italiani, io sarò stato forse l’unico a non accorgermene, ma confesso candidamente di non aver mai saputo nulla di una sua programmazione e di non averne mai letto nemmeno una recensione. Sono davvero così distratto?
Quella della repressione e delle leggi antireligiose del Messico degli Anni Venti è una delle pagine più vergognose della storia del XX secolo: il presidente Calles, sentendo vacillare la sua posizione politica e il consenso che egli aveva saputo costruire attorno alla sua figura di rivoluzionario fino dal ’17, fece ricordo al capro espiatorio della Chiesa, dei preti e della “superstizione”, del “fanatismo”, responsabili a dire suo e di quelli della sua risma dell’ignoranza e dell’ingiustizia sociale che dilagavano nel suo paese. Calles era tallonato dal governo degli Stati Uniti d’America, che aveva bisogno di concessioni petrolifere importanti dal vicino paese: ormai era difatti cominciata dal corsa all’”oro nero”: bisognoso di appoggi politici e diplomatici, nonché di armi per le sue forze armate, egli vendé la dignità e la sovranità del suo popolo in cambio dell’ottenimento di una “mano libera” che gli permise di giungere a misure antireligiose autenticamente liberticide: divieto del suono delle campane, delle manifestazioni pubbliche di fede, dell’abito talare per i sacerdoti fuori dalle chiese: tutte giudicate espressioni di “oscurantismo” indegne di un paese “progressista”. L’episcopato messicano, e quindi la Santa Sede, risposero con l’interdetto, cioè con il divieto di qualunque celebrazione religiosa sul territorio messicano. Calles non comporese o (peggio) finse di non aver compreso al gravità di un monito come quello, indirizzato a uno die apesi più profondamente cattolici del mondo, e a sua volta aggravò le misure repressive passando all’intimidazione fisica e addirittura all’aperta persecuzione: chiese invase e distrutte, preti e fedeli uccisi, oggetti e suppellettili sacre profanati. Nemmeno il bolscevismo e il kemalismo nelle sue fasi antireligiose più acute avevano mai osato tanto.
Il film racconta, sistemandole insieme in un tessuto in parte “romanzesco” ma che collega tra loro episodi storicamente autentici, le vicende di alcuni dei martiri della repressione – da vecchi preti a ragazzini meno che adolescenti, per tacere dei furti e degli stupri – e si sofferma in particolare sulle vicende del generale Enrique Gorostieta, impersonato da un energico e umanissimo Andy Garcia: Gorostieta era un vecchio soldato dei tempi del presidente Huerta, ateo come la maggior parte degli esponenti dei ceti borghesi e intellettuali latinoamericani dei secoli XIX e XX, ma profondamente onesto e soprattutto rispettoso del principio della libertà. Non tanto per influenza dell’amatissima moglie, ch’era profondamente credente, quanto per onesta adesione al principio liberale del “non credo in quel che credi, ma sono disposto a dare la vita perché tu sia lasciato libero di crederci”, Gorostieta accettò di mettersi a capo di vasti gruppi di cattolici che, ormai stanchi di subire, avevano organizzato una vera e propria rivolta il motto della quale sarebbe risonato anche dieci anni dopo, in circostanze per molti versi analoghe, in Spagna: “Que viva el Cristo Rey!”.
Papa Pio IX, con al mediazione del governo statunitense, trovò il modo di raggiungere nel 1929 un accordo con il governo Calles: ma molti guerriglieri – chiamati per dileggio cristeros: ana parola che avevano orgogliosamente rivendicato – si sentirono offesi e traditi da quel compromesso. Il film racconta la storia di Gorostieta e di alcuni martiri che sono stati a varie riprese beatificati o santificati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Una storia terribile, amara, quella dei cristeros: una di quella nei confronti della quale il tanto reclamato “dovere della memoria”, evidentemente, non esiste. E’ difficile che entri nelle scuole, dove pur altri films – il soggetto dei quali è più gradito ai paladini della memoria a senso unico – hanno fin troppo frequente e facile accesso. Ma forse qualcuno tra quelli che leggeranno queste righe (insegnanti, studenti, religiosi o studenti che siano) potrebbe avviare l’iniziativa di organizzarne qualche proiezione, magari con successivo dibattito. Chissà.